Le richieste da parte del mercato, anche quelle dei consumatori, sono sempre più esplicite e pressanti e ora i big del settore alimentare finalmente hanno ripreso a comunicare. Parlano delle loro strategie e dei loro piani, ma anche di obiettivi, risultati e traguardi ancora da raggiungere. Raccontano i loro percorsi e aggiornano con numeri ed evidenze scientifiche, una scelta che piace e che contribuisce anche a dare più credibilità e valore alle campagne di marketing.
Così giorni fa McDonald’s USA ha annunciato di aver ottenuto un risultato importante: il 33 per cento delle uova utilizzate nei suoi ristoranti viene da allevamenti in cui le galline non sono tenute in gabbie, un volume che nel 2019 raggiungerà circa 726 milioni di unità. L’azienda intende arrivare al traguardo del 100 per cento entro il 2025.
Negli Stati Uniti McDonald’s usa più di due miliardi di uova l’anno e per tener fede ai suoi impegni sta sensibilizzando gli allevatori sull’importanza di convertire le loro produzioni, uno sforzo che richiede investimenti e spesso aggiornamenti tecnologici.
Molte aziende hanno scelto di realizzare strutture completamente nuove e hanno adottato soluzioni e app per gestire in modo efficiente l’illuminazione e la temperatura all’interno degli ambienti, altre hanno modificato gli spazi esistenti per ospitare delle voliere al posto delle gabbie e qualcuno ha persino installato pavimenti riscaldati per garantire che il suolo sia sempre asciutto e adeguato al benessere degli animali, indipendentemente dal periodo dell’anno. Investimenti che sono ripagati dai risultati di mercato, secondo il comunicato di McDonald’s.
L’azienda ospita ogni anno anche un “Cage-Free Egg Summit”, un appuntamento in cui i suoi partner e fornitori si confrontano sui problemi e sulle migliori pratiche del settore.
Questo il commento di Norm Stocker, Vice President of Food Service – Poultry di Cargill: “L’impegno a utilizzare solo uova prodotte da galline non allevate in gabbia ha rappresentato un cambiamento non solo per il nostro business, ma per l’intera industria, vista la loro posizione di leader di mercato. Le preferenze dei consumatori stanno cambiando e le persone sono sempre più interessate a sapere come nasce e come viene prodotto il cibo e nel panorama globale McDonald’s ha aperto la strada, con un approccio moderato e graduale.”
Antibiotici
Nel dicembre del 2018 McDonald’s ha anche comunicato che sta mettendo in atto un piano per ridurre l’uso di antibiotici nell’85% della sua catena di approvvigionamento.
L’azienda sta collaborando con i suoi principali fornitori di carne, in 10 Paesi del mondo, per avere dati ed evidenze sulle modalità specifiche di impiego degli antibiotici.
Utilizzando questi risultati, entro la fine del 2020 creerà piani, con precisi obiettivi di riduzione, e ne comunicherà i risultati a partire dal 2022.
Anche in questo caso la mossa di McDonald’s avrà sicuramente un impatto significativo sul mercato delle carni bovine visto che McDonald’s ha 37.000 ristoranti in tutto il mondo. Il cambiamento evidentemente richiederà tempo e darà la possibilità ai produttori e ai franchisee di adeguare tecniche e metodologie di allevamento.
Negli Stati Uniti, nel 2016, con un anno di anticipo rispetto ai piani, McDonald’s era riuscita a servire solo pollo non trattato con antibiotici dannosi per la medicina umana, nel 2017 ha poi adottato questa politica a livello internazionale e ultimamente ha aggiornato il suo Vision for Antimicrobial Stewardship estendendo il suo impegno nella lotta all’abuso di antibiotici all’area delle carni bovine e suine.
Oggi, McDonald’s è anche in prima linea nell’Antimicrobial Resistance (AMR) Challenge. Nata nel settembre 2018, questa iniziativa attualmente coinvolge oltre 130 organizzazioni pubbliche e private e si propone di accelerare la lotta alla resistenza antimicrobica a livello mondiale.
in effetti McDonald, pur bistrattato per la sua rappresentazione ideologica del modello di consumo del cibo, ha da diverso tempo adottato impegni e soluzioni che hanno anticipato altri dello stesso segmento, si tratta almeno di “buone intenzioni” nel panorama generale