Economia circolare e sostenibilità. Se ne continua parlare. Qualche impresa è partita anni fa con una strategia lungimirante, altri sostengono che sono mode, nuove locuzioni per esprimere concetti antichi e ben noti. La verità è un po’ diversa: servono realmente nuovi approcci per riuscire utilizzare al meglio le risorse del nostro Pianeta, che sono limitate e che si stanno esaurendo. E questo vale soprattutto per il cibo. La sfida è produrre cibo sano e sicuro, in modo sostenibile, anche dal punto di vista economico.
Ma perché un prodotto o un’azienda sia in linea con i veri parametri della sostenibilità il percorso non è facile, né veloce. E devono parlare i fatti e i dati.
Lo sa bene Caterina Rinaldi, ricercatrice ENEA che si occupa di tematiche ambientali da molti anni.
Caterina si è laureata in Scienze Ambientali Marine all’Università di Bologna, ha conseguito il dottorato di ricerca in ingegneria dei materiali, poi ha vinto un concorso per un contratto a tempo determinato all’ENEA dove ha iniziato ad occuparsi del ciclo di vita dei prodotti, il cosiddetto Life Cycle Assessment. Abbandonato il mare, questo tema è diventato il cuore della sua carriera professionale. Un tema coltivato con grande passione, in tanti anni di precariato e a partire dal 2009 all’interno del Laboratorio valorizzazione delle risorse nei sistemi produttivi e territoriali dell’ENEA.
Ma quando si parla di ciclo di vita di un prodotto e della sua impronta ambientale nell’ambito dell’agroalimentare gli aspetti e le variabili da prendere in considerazione sono molteplici e differenti a seconda dei settori di mercato. Un olio e un formaggio traggono le loro origini comunque da un campo e arrivano entrambi sulle nostre tavole ma le loro storie sono diverse come sono diversi i processi, le lavorazioni, le tecnologie che li coinvolgono. Come venirne a capo?
Ed è stata proprio Caterina a coordinare il progetto europeo Pefmed del programma Interreg MED, di cui sono stati presentati i risultati lo scorso 27 maggio.
Pefmed sta per Product Environmental Footprint (PEF) across the MED e ha previsto l’applicazione del metodo PEF, sviluppato dalla commissione europea, e di un insieme di indicatori socio-economici a 9 filiere agroalimentari del mediterraneo.
Finanziato con circa 2 milioni di euro dalla Commissione europea, il progetto ha coinvolto oltre 200 imprese di sei Paesi europei proprio con l’obiettivo di ridurre l’impronta ambientale di sei prodotti di largo consumo: olio d’oliva, vino, acqua in bottiglia, mangimi, salumi e formaggio.
“La scelta – afferma Caterina – è stata proprio quella di coinvolgere realtà diverse di settori diversi per capire quali metodologie e strumenti comuni potessero essere utilizzati per effettuare le valutazioni. Era un prerequisito indispensabile per mettere a fuoco lo stato dell’arte e i gap da colmare e per poi suggerire azioni e le migliori soluzioni, gestionali e tecnologiche, per fare il salto di qualità.
“Oggi possiamo confermare che la metodologia è disponibile e sono anche disponibili gli indicatori che evidenziano gli impegni di un’azienda nel contesto socio -economico – continua Caterina – dunque possiamo dire che la strada e i mezzi per percorrerla sono tutti a portata di mano, anche se servirebbe un sforzo ulteriore di formazione e di incentivazione in grado di mobilitare anche le imprese più piccole o più isolate. In questo progetto, ad esempio, è stato fondamentale il ruolo delle federazioni e dei cluster che hanno sensibilizzato e coinvolto le imprese.”
In Italia al progetto hanno contribuito Federalimentare e i cluster di Tecnoalimenti e Dare Puglia, che hanno coinvolto rispettivamente il Caseificio Sangiovanni, lombardo, e l’azienda vitivinicola pugliese Cantine Due Palme. Al progetto Pefmed ha partecipato anche il Ministero dell’Ambiente.
“In Italia c’è molto interesse sui temi della sostenibilità e c’è anche un grande fermento di iniziative perché oggi le imprese sono consapevoli che essere sostenibili è un fattore competitivo importante perché sono gli stessi consumatori a pretendere chiarezza e informazioni precise.
“E per quanto riguarda la comunicazione oggi, grazie al lavoro del nostro Ministero per l’ambiente, è disponibile un nuovo strumento, lo schema nazionale “Made Green in Italy” che adotta la PEF per calcolare l’impronta ambientale dei prodotti. Attualmente in fase di avvio, potrà contribuire a migliorare la sostenibilità delle filiere”.
Oggi comunque i risultati del progetto Pefmed sono a disposizione di tutti. Le metodologie, le soluzioni, le tecniche adottate e ben 60 best practices sono consultabili e condivisibili nel sito pefmed-wiki.eu ed è nato anche un blog.
Chi cerca la sostenibilità sa come poterla raggiungere!
la foto, se non sbaglio, è stata presa nel giardino dell’ENEA di Bologna dove ho seguito anch’io con grande interesse un corso di una settimana sui temi e sulle tecniche della Life Cycle Assessment. Articolo molto interessante in particolare per il nascente schema Made Green In Italy.
Si’ se l’è fatta fare al volo dai colleghi. Che occhio!