C’è a volte confusione nei consumatori: ci sono le mode, le tendenze e poi ci sono anche tante fake news. Sta di fatto che alcuni cibi che hanno sempre fatto parte della nostra alimentazione subiscono attacchi o critiche o vengono improvvisamente demonizzati. Comprenderne le ragioni non è sempre semplice anche perché spesso certi orientamenti nascono da ricerche realizzate negli Stati Uniti o in altri Paesi dove le tradizioni e le abitudini alimentari e soprattutto la qualità dei prodotti sono molto diverse dalle nostre.
Questo lo sa molto bene Loredana Basiricò che lavora da anni al DAFNE, il dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia dove si studiano le materie prime. Lei in particolare si occupa di prodotti di origine animale e da tempo si sta interessando del latte e dei prodotti derivati. Le ultime sue ricerche hanno riguardato proprio le loro proprietà nutraceutiche. “Il latte e i formaggi hanno sostanze nutrizionali preziose e uniche ma hanno anche tante proprietà nutraceutiche, che aiutano a mantenerci in salute e a prevenire disturbi e malattie. Noi in particolare stiamo studiando in laboratorio la presenza e il comportamento dei peptidi bioattivi.
“Queste piccole molecole costituite da 2-20 aminoacidi – spiega Loredana – sono presenti all’interno delle principali proteine del latte e possono essere liberate dalla digestione gastro-intestinale del latte, durante i processi fermentativi e durante la stagionatura dei formaggi. Sono frammenti di proteine particolarmente utili perché svolgono molteplici funzioni antiossidanti, immunomodulanti, antimicrobiche, antitrombotiche, oppioidi e contribuiscono all’abbassamento della pressione sanguigna. E si sa l’aumento dell’ipertensione è una delle cause delle malattie cardiovascolari che in molti casi portano alla morte.
“Con il mio team di ricerca, in scienze e produzioni animali, abbiamo effettuato dei test su campioni di una serie diversa di formaggi italiani per valutare la presenza di peptidi bioattivi e caratterizzarli in base alla loro capacità ACE-inibitoria. L’indicatore utilizzato è l’IC50 (Vermeirssen et al. 2002), che rappresenta la concentrazione di peptidi bioattivi in grado di inibire del 50% l’attività dell’enzima ACE, uno degli enzimi chiave nella regolazione della pressione sanguigna.
“Le nostre analisi hanno evidenziato che la loro efficacia varia a seconda di alcuni principali fattori: il tipo di latte impiegato, la lavorazione, il tempo di stagionatura. Sintetizzando e banalizzando, è emerso che i prodotti realizzati con latte crudo e con una maturazione non troppo lunga hanno un maggior contenuto di biopeptidi in grado di inibire l’enzima di conversione dell’angiotensina, vale a dire possono contribuire alla dilatazione delle arterie e quindi all’abbassamento della pressione sanguigna. In aggiunta la digestione gastrointestinale dei formaggi può modificare ulteriormente questa situazione; infatti è probabile che si formino anche nuovi peptidi ACE-inibitori nel tratto gastrointestinale dopo la digestione del formaggio.”
Il formaggio rimane dunque un alimento importante per la nostra salute, a qualunque età?
“Sicuramente, ogni prodotto di origine animale ha proprietà insostituibili, penso anche alle carni e soprattutto alle rosse spesso erroneamente bandite dalle tavole. È chiaro che per una corretta alimentazione la varietà è fondamentale e l’abuso è sempre pericoloso o dannoso, ma ogni prodotto di origine animale, di qualità ovviamente, è in grado di dare proprietà nutrizionali e nutraceutiche uniche che hanno un ruolo fondamentale per il nostro benessere.”
A suo parere come si potrebbe fare più chiarezza su questi temi?
“Penso che le università come la nostra, che si occupano proprio di tematiche agroalimentari, dovrebbero comunicare di più i loro progetti e i loro risultati e dovrebbero riuscire a collaborare in modo strutturato con tutti coloro che hanno o possono avere voce in capitolo per contribuire a diffondere certe verità scientificamente accertate. Ad esempio, potremmo lavorare con maggiore sinergia con gli allevatori e i produttori del settore lattiero caseario perché i risultati di tanti studi possono aiutarli a promuovere meglio le virtù dei loro prodotti, dovremmo riuscire a collaborare di più anche con i medici che spesso non riescono ad essere aggiornati sulle nostre ricerche. I loro riferimenti spesso sono le pubblicazioni scientifiche realizzate all’estero che non riflettono le specificità del nostro Paese in termini di prodotti e abitudini alimentari. Grazie alla condivisione delle rispettive conoscenze ogni sforzo avrebbe effetti moltiplicati e alla fine anche il consumatore ci guadagnerebbe perché riuscirebbe ad avere un quadro più corretto e completo del valore e delle implicazioni di ogni alimento.”