Sembrerebbe incredibile eppure una piccola, geniale società israeliana c’è riuscita. UBQ infatti è in grado di sfruttare completamente i rifiuti indifferenziati e produce un materiale termoplastico ecologico recuperando proprio da quei rifiuti i componenti naturali più elementari: lignina, cellulosa, zucchero, fibre. Il processo non utilizza acqua né produce emissioni nocive e il materiale può servire per creare oggetti eterogenei, dai mattoni ai carrelli per la spesa, dai tubi a parti per l’industria automobilistica.
Recentemente UBQ ha siglato un accordo con Arcos Dorados Holdings, il più grande affiliato indipendente di McDonald, che ha oltre 2.200 ristoranti in America Latina e nei Caraibi. Presto il progetto decollerà concretamente: nel primo trimestre del 2020 il materiale termoplastico ecologico di UBQ sostituirà la plastica in alcuni ristoranti McDonald in Uruguay. I materiali usati e scartati quotidianamente all’interno dei ristoranti, ma non solo, vengono riciclati e diventano nuovi prodotti durevoli. Secondo UBQ, ogni tonnellata del loro materiale equivale alla riduzione delle emissioni di carbonio di 540 alberi.
Lo scorso settembre UBQ ha anche fatto il suo esordio in grande stile negli Stati Uniti dove ha stretto una partnership con l’autorità di gestione dei rifiuti della Virginia centrale. Questo accordo porterà alla comparsa di 2000 nuovi cassonetti per la raccolta dei rifiuti realizzati proprio con il materiale ecologico di UBQ. Un vero e proprio emblema di economia circolare.
Il materiale brevettato di UBQ è termoplastico, può essere impiegato come materia prima in molte applicazioni industriali e aiuta a creare prodotti ecologici.
La società ha sviluppato un apposito programma di test di “loopability” che ha dimostrato che il suo materiale è riciclabile, non si degrada, e offre prestazioni migliori rispetto ai polimeri.
Pensando soprattutto alla sostituzione della plastica, UBQ ha sviluppato diverse tipologie di materiali adatti per stampaggio ad iniezione, estrusione e compressione. Il materiale può essere miscelato con resine e additivi a base di olefine, stirene e cloro, adattando le sue caratteristiche fisiche ai requisiti necessari.
L’aggiunta di appena il 10% del materiale brevettato di UBQ può rendere immediatamente un prodotto carbon neutral.
Il processo ovviamente è proprietario. Il flusso di rifiuti misti – contenente elementi organici, guarnizioni, carta, cartone, pannolini, plastica sporca e materiali di imballaggio – viene convertito in un materiale composito omogeneo.
Secondo quanto racconta UBQ, durante il processo di conversione, il flusso di rifiuti viene ridotto nei suoi componenti naturali più basilari. A livello di particelle, questi componenti naturali si ricostituiscono e si legano insieme in un nuovo materiale composito. Questo si verifica indipendentemente dalla composizione, dal volume o dall’origine specifici dei rifiuti indifferenziati e a prescindere dalle stagioni o dai Paesi in cui i rifiuti vengono prodotti. Il processo è a circuito chiuso, non ha impatti ambientali, non comporta rifiuti residui, non produce emissioni né prevede consumi d’acqua.
Il Washington Post raccontando l’esempio virtuoso di UBQ ha scritto: “Un’analisi commissionata dalla società svizzera di consulenza ambientale Quantis ha rilevato che mantenere la decomposizione dei rifiuti organici fuori dalle discariche e utilizzarli per creare materie plastiche di seconda generazione potrebbe ridurre significativamente il metano, il gas che a breve termine contribuisce al riscaldamento globale più dell’anidride carbonica. Sostituendo una tonnellata di pellet di UBQ con la stessa quantità di polipropilene si risparmia l’equivalente di circa 15 tonnellate di emissioni di anidride carbonica, ha concluso Quantis; l’aggiunta di appena il 10 percento del suo materiale può rendere il risultato carbon neutral, a seconda del tipo di plastica che viene creata.”
Un’alchimia sostiene il Washington Post che finora si verifica solo nello stabilimento di Kibbutz Tze’elim, dove opera UBQ.
L’immagine è di UBQ.