È ormai accertato: le piante sulle coste proteggono in modo importante da ondate e tempeste devastanti. Lo hanno confermato gli studi effettuati sui danni causati dall’Uragano Sandy che nel 2012 ha colpito una vasta area arrivando anche sulla costa orientale degli Stati Uniti: le estensioni paludose hanno frenato l’energia del moto ondoso e hanno contribuito a ridurre i danni, per un valore che è stato calcolato di circa di 625 milioni di dollari.
L’ex dottorando al MIT Xiaoxia Zhang, ora postdoc alla Dalian University of Technology, in Cina, e la professoressa di ingegneria civile e ambientale del MIT Heidi Nepf hanno voluto condurre un’analisi precisa del fenomeno. Hanno esaminato nei dettagli la morfologia delle piante, il numero e le caratteristiche delle foglie flessibili rispetto agli steli più rigidi, e hanno studiato le complesse interazioni che si verificano tra queste e le possibili correnti e onde, provenienti da direzioni diverse.
Lo studio ha comportato simulazioni ed esperimenti con diversi tipi di piante in una specie di grande serbatoio del Parsons Lab del MIT, un centro di Ricerca specializzato sullo studio delle acque e dell’ambiente, dove sono state ricreate diverse situazioni con molteplici moti ondosi, e si è avvalso di modelli matematici.
“Quando vai in una palude, vedrai spesso che le piante sono disposte in zone”, ha affermato Nepf “lungo il bordo, tendi ad avere piante più flessibili, usano la loro flessibilità per ridurre le forze delle onde che subiscono. Nella zona successiva le piante sono un po’ più rigide e hanno un po’ più di foglie”.
Man mano che le zone progrediscono, le piante diventano più rigide, più frondose e più efficaci nell’assorbire l’energia delle onde grazie alla loro maggiore area fogliare. “Se metti le piante più rigide sul bordo, potrebbero non sopravvivere, perché subiscono molto la forza delle onde. Descrivendo il motivo per cui Madre Natura organizza le piante in questo modo, si spera di poter progettare un ripristino più sostenibile delle nostre coste”.
Secondo Zhang le piante non solo aiutano a stabilizzare ma anche a costruire queste delicate terre costiere: “Dopo alcuni anni, le erbe palustri iniziano a intrappolare e trattenere il sedimento, e il processo continua nel tempo, un fenomeno che può mitigare l’innalzamento del livello del mare”.
Ma se si è sempre più consapevoli dell’effetto protettivo delle paludi questo studio e questa modellazione possono davvero aiutare a capire quanta palude – e con quali tipi di piante – sarebbe necessaria per raggiungere il livello di protezione desiderato.
Nepf accenna al caso dei Paesi Bassi, Qui sono state ripristinate le paludi perdute al di fuori delle dighe che circondano gran parte dei terreni agricoli perché si è constatato che la palude e gli argini hanno effetti combinati molto più efficaci per prevenire le inondazioni. Ma queste azioni sinora sono state condotte in modo empirico, per tentativi e con errori.
Grazie ai nuovi studi invece, secondo Nepf, l’approccio sarebbe più scientifico e darebbe risultati anche più precisi dal punto di vista quantitativo. “Si potrebbe arrivare a dire che 40 metri di palude ridurranno di un tot le onde e quindi ridurranno di un altro tot il superamento del tuo argine. Qualcuno potrebbe anche dire: risparmierò tot soldi nei prossimi 10 anni se riduco le inondazioni mantenendo questa palude.‘
La stessa Nepf sta proponendo alcune sue valutazioni per la definizione dei processi di pianificazione relativi alla costa della Louisiana, fa parte infatti di un gruppo di professionisti guidato da Chris Esposito del Water Institute of the Gulf coinvolto nei lavori. Il progetto è stato in parte finanziato dalla National Science Foundation e dal China Scholarship Council, questo lo studio “Wave damping by flexible marsh plants influenced by current”.
L’immagine di una fase della simulazione del progetto è di Xiaoxia Zhang.