Identificata per la prima volta in Brasile nel 1985 e diffusasi in Sud America agli inizi degli anni ’90, la malattia si è poi manifestata in modo dirompente nel 2016 in Bangladesh, dove ha colpito circa 15.000 ettari di terreno in otto distretti, dimezzando le rese dei campi. È il cosiddetto brusone del grano – wheat bleast – una malattia devastante e ad azione rapida che minaccia la sicurezza alimentare nelle aree tropicali del Sud America e dell’Asia meridionale.
La malattia è provocata dal fungo Magnaporthe oryzae patotipo triticum (MoT), può diffondersi attraverso i semi infettati, sopravvive sui residui delle colture e viene veicolata anche dalle spore che possono viaggiare nell’aria percorrendo lunghe distanze. Colpisce direttamente la spiga, fa avvizzire e deforma il chicco in meno di una settimana dai primi sintomi non lasciando possibilità di intervento agli agricoltori.
La frequenza irregolare dei focolai rende difficile comprendere e prevedere le condizioni precise per lo sviluppo della malattia o selezionare metodicamente linee di grano resistenti. Al momento però le certezze sono poche e non rassicuranti: la diffusione della malattia richiede calore e umidità, attualmente non ci sono varietà resistenti ampiamente disponibili e i fungicidi forniscono solo una difesa parziale, oltre al fatto che dovrebbero essere applicati molto prima che compaiano i sintomi e che rappresenterebbero una spesa proibitiva per molti agricoltori.
Per questo i ricercatori dell’International Maize and Wheat Improvement Center (CIMMYT) stanno collaborando con ricercatori nazionali e agenzie meteorologiche per individuare soluzioni praticabili in grado di tutelare i piccoli agricoltori delle regioni a rischio. La sintesi delle loro indagini e delle loro indicazioni sono contenute in un documento pubblicato su Frontiers in Plant Science.
“La malattia, nei primi tre decenni, si stava diffondendo lentamente, ma negli ultimi quattro o cinque anni il suo ritmo ha accelerato e ha fatto due salti intercontinentali” ha affermato Pawan Singh, capo della patologia del grano del CIMMYT e uno degli autori del documento.
I semi infettati sono il vettore più probabile della diffusione della malattia su lunghe distanze. Per questo, una delle principali strategie di mitigazione, secondo i ricercatori, è nelle mani dei governi: dovrebbero provvedere a far mettere in quarantena cereali e semi potenzialmente infettati prima di introdurli in una nuova giurisdizione, dovrebbero anche indirizzare la coltivazione di altre colture come i legumi, che non possono essere infettate dal patogeno, nelle zone in cui la malattia ha preso piede per evitarne la diffusione e proteggere comunque la sussistenza degli agricoltori.
Altre tattiche invece si basano su una stretta collaborazione tra ricercatori e agricoltori, come si sta verificando in Bangladesh e in Brasile dove sono stati messi a punto sistemi di allerta precoce che utilizzano dati meteorologici per avvisare gli agricoltori quando si preannunciano le condizioni ideali per la diffusione della malattia.
Si sta anche cercando di creare varietà di grano resistenti alla malattia anche se al momento nessuna varietà risulta completamente immune. “Ma la resistenza è ancora limitata, perché è limitata ad un singolo gene”, ha detto Xinyao He, uno dei coautori del documento, che ha sottolineato l’importanza di identificare nuovi geni resistenti per poterli introdurre nei programmi di breeding.
Il documento dà altri suggerimenti pratici e praticabili dal punto di vista economico anche nei Paesi in via di sviluppo come seminare in modo che il grano fiorisca quando il clima è più secco e più fresco; ruotare le colture, alternando il grano e altre piante che il fungo non può infettare, in modo che la malattia non si trasmetta da un anno all’altro; distruggere o rimuovere i residui del raccolto, che possono contenere spore pericolose; aggiungere vari minerali al terreno, come silicio, magnesio e calcio, in grado di aiutare le piante a respingere il fungo; applicare sostanze chimiche alle piante come l’acido jasmonico che attivano una resistenza naturale, proprio come un vaccino.
Morale: secondo i ricercatori c’è ancora molto da fare per arrivare alla soluzione del problema e al momento non resta che adottare strategie diverse e complementare per arginare i possibili danni di questa malattia…e le spore possono continuare a viaggiare…e il riscaldamento globale non si arresta.
CIMMYT è coinvolto in un progetto di una collaborazione globale finanziato finanziata dall’Australian Centre for International Agricultural Research (ACIAR), dal CGIAR Research Program on Wheat (WHEAT), dall’Indian Council of Agricultural Research (ICAR) e dalla Swedish Research Consiglio (Vetenskapsrådet). Tra i partner che collaborano al progetto: il Bangladesh Wheat and Maize Research Institute (BWMRI), l’Instituto Nacional de Innovación Agropecuaria y Forestal (INIAF) della Bolivia, la Kansas State University e il Agricultural Research Service degli Stati Uniti (USDA-ARS).
La foto è di Xinyao He/CIMMYT, nel video il viaggio nefasto del wheat bleast.
https://www.cimmyt.org/content/uploads/2021/10/Wheat-blast-spread.mp4?_=1
tra “nuove” malattie, problemi di superficie investita (e quindi di produzione) e problemi di import/export ci aspettano dei tempi “duri” per il grano (sia tenero che duro).
e quando ci sarà da scegliere tra mercato interno ed esportazioni vedremo cosa “sceglieranno” agricoltori e commercianti.
meglio cominciare psicologicamente a disabituarsi ai derivati del grano ?