Ma se invece dell’albero esistesse la pianta della cuccagna?

È il futuro. L’hanno già capito in molti. Ci darà da mangiare, sarà la materia prima di tanti componenti di arredo e dell’edilizia, potrà sostituire la plastica e diventerà la fibra principali di tanti nuovi tessuti, tra l’altro anallergici.

È il bambù, una pianta fantastica, resistente, generosa, facile da coltivare ma ovviamente da curare. Può vivere a temperature diverse, dai meno 25 ai più 35 gradi, non ha bisogno di terreni particolari, non ha grandi esigenze.  Rilascia ossigeno e mangia anidride carbonica, quindi fa bene all’ambiente e lo protegge molto più di tante altre piante. La sua coltivazione non richiede fertilizzanti né chimici né naturali e neppure  trattamenti antiparassitari perché è già di sua natura dotato di sostanze antimicotiche e antiparassitarie. Dopo la bomba di Hiroshima nella devastazione e nel nulla sono nati proprio i bambù.

“In tanti Paesi oggi c’è molta consapevolezza delle infinite potenzialità di queste piante e si parla addirittura di una “bambù economy”, in Italia ci sono ancora alcune resistenze e non si sa bene come muoversi anche in termini di certificazioni e normative ma la mentalità per fortuna sta cambiando”, afferma Andrea Da Bove che fa parte del Consorzio Bambù Italia e ha una sua azienda che si dedica proprio alla coltivazione di questa pianta.

“Con la nostra associazione ci stiamo impegnando proprio per comunicare tutti i valori e le potenzialità del bambù e lo facciamo con dati e storie alla mano per far comprendere che dedicarsi alla coltivazione e alla lavorazione di questa pianta non è un’impresa pionieristica, ma un percorso di innovazione e sostenibilità già intrapreso con successo in altre parti del mondo. Se si vogliono acquistare cannucce  ecologiche di bambù, biodegradabili, resistenti e riutilizzabili, si trovano immediatamente, basta fare una piccola ricerca su Internet”, afferma Da Bove.

La cosa sorprendente è che a comprendere e a cogliere le opportunità di questa pianta sono più i privati che gli agricoltori, forse più legati a una mentalità e a colture più tradizionali. In realtà noi siamo in grado di dimostrare che piantare o convertire le coltivazioni in bambù è un investimento che dà ritorni certi, sia in termini di piazzamento del prodotto sia in termini economici. È ovvio che per avere i risultati attesi bisogna dare tempo alla natura di fare il suo corso: dalla piantina nel vasetto alla crescita nel campo servono circa quattro anni e solo al sesto anno si potranno avere raccolti massicci e rigogliosi”

Da Bove ci crede e non è un caso che abbia creato con tre soci un’azienda agricola in Sardegna (Azienda Lisante, lisante.info@gmail.com) dove coltiva una specie particolare di bambù selezionato in Asia che richiede una temperatura più mite. Un progetto che sta crescendo e che sta vedendo aumentare la partecipazione di privati che hanno deciso di investire su una nuova economia green e sostenibile.

Da Bove è davvero entusiasta delle proprietà di questa pianta versatile, che testata in diversi ambiti non delude mai. “In 40 punti vendita Conad ci sono prodotti alimentari a base di bambù, c’è anche un pesto. E lavorata al posto del legno, dà ottimi risultati sia per produrre carta o altri materiali e il grande vantaggio è che non sono richiesti particolari macchinari, bastano quelli già impiegati. Ma anche in campo tessile il bambù è semplice da lavorare: attraverso enzimi naturali simili a quelli utilizzati per la lavorazione della canapa e del cotone si ottiene una tela che serve alla realizzazione di biancheria, camice e pantaloni. Se il bambù viene trattato con  la “N-metilmorfolina-N-Ossido-monoidrato”, una sostanza non tossica, si ottiene una fibra cellulosica candeggiata, che dà luogo alla viscosa di bambù, morbida e setosa al tatto.”

In sintesi, il bambù è una vera miniera a portata di mano, perché non sfruttarla? Darebbe vantaggi alla nostra economia e soprattutto alla sostenibilità del nostro Pianeta.

Alessandra Apicella

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