Il piombo è altamente tossico e, anche in piccole quantità ha effetti sulla salute, soprattutto quella dei bambini. L’Unione Europea ha ridotto il livello di piombo consentito nell’acqua potabile da 10 parti per miliardo a 5 parti per miliardo. Negli Stati Uniti, l’Environmental Protection Agency ha invece dichiarato che nessun livello rende sicure le forniture idriche e che i livelli medi attuali sono 10 volte superiori a quelli di 50 anni fa, con valori diversi: da 10 parti per miliardo in Europa a centinaia di parti per miliardo in Sud America. Ma non basta. La presenza di piombo sta aumentando perché aumentano i rifiuti elettronici come pure gli scarichi delle attività minerarie.
A differenza degli inquinanti organici, che possono essere scomposti, i metalli pesanti però non si biodegradano, ma persistono indefinitamente, si bioaccumulano ed è impossibile o molto costoso rimuoverli con metodi convenzionali come la precipitazione chimica o la filtrazione a membrana.
Ora un team del MIT ha individuato una possibile soluzione che si inquadra in una logica di perfetta economia circolare. Si basa su un processo nato alcuni decenni fa, chiamato bioassorbimento, che impiega materiale biologico inattivo per rimuovere i metalli pesanti dall’acqua. Fino a ieri il processo era stato studiato per rimuovere concentrazioni elevate di piombo ma il nuovo studio ora ha dimostrato che il processo funziona in modo molto efficiente anche in presenza di concentrazioni basse, tipiche delle riserve idriche.
I ricercatori hanno utilizzato un tipo di lievito molto diffuso nella produzione della birra e nei processi industriali, chiamato S. cerevisiae, in acqua pura addizionata con tracce di piombo ed è emerso che un singolo grammo di cellule di lievito essiccate inattive può rimuovere fino a 12 milligrammi di piombo in soluzioni acquose con concentrazioni iniziali di piombo inferiori a 1 parte per milione. È stato anche dimostrato che il processo è molto rapido e richiede meno di cinque minuti per essere completato.
Non solo. Le cellule di lievito utilizzate nel processo sono inattive ed essiccate, dunque non richiedono cure particolari, a differenza di altri processi che si basano sulla biomassa vivente, e questo lievito è già abbondantemente disponibile, come prodotto di scarto della produzione della birra e di vari altri processi industriali basati sulla fermentazione.
Una delle ricercatrici del MIT, tra gli autori di questo studio, Patritsia Statathou ha stimato che per ottenere acqua pulita in una città delle dimensioni di Boston, che utilizza circa 200 milioni di galloni al giorno, servirebbero circa 20 tonnellate di lievito al giorno, ovvero circa 7.000 tonnellate all’anno. Un solo birrificio come la Boston Beer Company genera 20.000 tonnellate l’anno di lievito in eccesso che non è più utile per la fermentazione.
Christos Athanasiou, un altro ricercatore che ha partecipato al progetto ha sottolineato l’importanza di queste nuove evidenze scientifiche “l’esplorazione dei meccanismi di bioassorbimento a concentrazioni così difficili è una sfida. Siamo stati i primi a utilizzare una prospettiva meccanica per svelare i meccanismi di bioassorbimento e abbiamo scoperto che le proprietà meccaniche delle cellule di lievito cambiano significativamente dopo l’assorbimento del piombo. Ciò fornisce spunti fondamentalmente nuovi per il processo”.
L’ideazione di un sistema pratico per il trattamento dell’acqua e per il recupero del lievito, che potrebbe quindi essere separato dal piombo per il riutilizzo, è la fase successiva della ricerca cui il team sta lavorando. Lo stesso processo, tra l’altro, potrebbe anche essere utilizzato per rimuovere altri metalli pesanti, come cadmio e rame, anche se per questo serviranno ulteriori ricerche per quantificare i tassi effettivi per tali processi, affermano i ricercatori.
I risultati del progetto sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications Earth and Environment.
In Australia, invece, pool di ricercatori stanno unendo le loro forze per porre rimedio agli indistruttibili e pericolosi PFAS (sostanze perfluoroachiliche) che si diffondono particolarmente con l’impiego delle schiume antincendio. Ora un team di scienziati ha scoperto che alcune piante autoctone australiane possono ridurre in modo significativo il volume di questi inquinanti e con la loro presenza possono contribuire ad avere ambienti più sani per tutti. Si tratta di semplici giunchi delle specie Phragmites australis, Baumea articulata e Juncus kraussii.
In particolare, è emerso che la Phragmites australis è stata in grado di rimuovere i contaminanti PFAS legacy del 42-53% dalle acque superficiali contaminate (livello: 10 µg/L).
Il progetto ha utilizzato le piattaforme galleggianti costruite per la crescita idroponica delle piante.
Questo il commento di John Award ricercatore della Uninversity of Soouth Australia e del CSIRO: “Le piattaforme possono essere facilmente installate negli ambienti urbani esistenti, come bacini di contenimento e bacini di ritenzione, rendendoli altamente manovrabili e adattabili ai corsi d’acqua locali. Inoltre, questo sistema di trattamento dell’acqua non richiede il pompaggio o l’aggiunta continua di sostanze chimiche ed è un sistema di bonifica molto economico per la rimozione del PFAS.”
Il sistema al momento è stato sperimentato in laboratorio ma presto verrà testato in condizioni naturali.
L’immagine è relativa al progetto di ricerca australiano.