L’agricoltura è uno dei settori che soffre più direttamente degli effetti dei cambiamenti climatici ma ne è anche responsabile, provocando essa stessa emissioni di gas ad effetto serra. E in questo contesto gli allevamenti di bovini con la loro produzione di metano svolgono un ruolo decisivo.
Per rendere più sostenibile questo specifico settore sono stati avviati moltissimi progetti a livello mondiale e tra le diverse iniziative in corso c’è il progetto Life Beef Carbon, partito nel 2015, che si concluderà nel 2020.
È un progetto finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma LIFE (LIFE14 CCM/FR/001125), è coordinato dall’Institut de l’Elevage francese e coinvolge 2000 aziende, istituzioni, associazioni, e enti di ricerca di quattro Paesi: Francia, Spagna, Irlanda e Italia.
Questa grande mobilitazione ha previsto l’individuazione e l’analisi delle migliori pratiche di mitigazione delle emissioni adottate in 172 aziende europee campione.
In Italia, il Life Beef Carbon ha coinvolto 120 aziende e oggi sono 20 quelle che stanno utilizzando alcune di queste tecniche, misurandone gli investimenti necessari e i relativi vantaggi. Il team italiano è coordinato da Luciano Migliorati del CREA ricercatore del Centro di ricerca Zootecnia e acquacoltura di Lodi.
“Le strategie che possono essere adottate dall’allevatore per migliorare le prestazioni ambientali della propria azienda –afferma Migliorati– sono quelle che mirano a ridurre le missioni di gas serra e quelle che tendono a mantenere ed aumentare le riserve di carbonio nel terreno; le prime, definite “win win”, presentano vantaggi sia ambientali che economici; le seconde comportano degli investimenti senza apportare vantaggi economici.”
“Il metano si forma in seguito alle fermentazioni che si verificano ad opera della popolazione microbica presente nell’apparato digerente – precisa Migliorati – la maggior parte proviene dalla fermentazione della fibra nei prestomaci dei ruminanti e solo una piccola parte si produce nell’intestino cieco. Un’altra quota di metano è anche emessa dalle deiezioni depositate e conservate nelle stalle, nelle concimaie o nelle vasche. Il protossido d’azoto si forma invece per una serie di processi di trasformazione della proteina contenuta nelle feci e delle urine degli animali oppure dai fertilizzanti chimici sparsi sui campi.
Migliorati sintetizza le principali strategie.
“Per avere migliori prestazioni dagli animali, oltre alla scelta delle razze più efficienti o il miglioramento genetico, si deve investire sulle condizioni igieniche della stalla, sul benessere degli animali e sulla loro alimentazione, che è di fondamentale importanza. Si possono somministrare alimenti di migliore qualità e cercare di ridurre quelli che si acquistano all’esterno; oppure si possono formulare diete che orientano le fermentazioni ruminali verso una minore produzione di metano.
“Poi ci sono le strategie tese a migliorare la fertilità del suolo come l’adozione di tecniche innovative di distribuzione dei concimi organici per ottimizzare l’utilizzo delle deiezioni animali e la riduzione dell’uso dei fertilizzanti di sintesi. Anche le stesse deiezioni possono subire diversi trattamenti grazie ai quali è possibile contenere le emissioni, permettono di ridurre l’idrolisi dell’urea e la proteolisi, da cui si forma il protossido d’azoto.
“C’è poi il capitolo che riguarda i risparmi energetici o la produzione di energia da fonti rinnovabili, come i pannelli solari o la produzione di biogas; infine c’è il tema del sequestro di carbonio, che può essere aumentato adottando le tecniche di minima lavorazione del terreno. Le riserve di carbonio ovviamente si possono migliorare soprattutto ampliando la superficie destinata a prati permanenti, con l’inserimento di nuova vegetazione, che oltre a favorire la biodiversità, contribuisce a migliorare la riserva di carbonio nel terreno.
“Ogni azienda a livello europeo – continua Migliorati – con l’aiuto e la supervisione dei tecnici di associazione di categoria e dei coordinatori nazionali, ha scelto la sua strategia e il suo percorso di mitigazione, anche in base alla propria realtà specifica. Le caratteristiche geografiche e climatiche incidono in modo sostanziale sulle scelte. In Francia, ad esempio, dove molti allevamenti hanno vasti spazi, spesso è stato scelto di creare delle vere e proprie aree boschive per ripristinare valori ottimali nell’atmosfera e nei terreni. Qui in Italia alcune aziende hanno scelto di adottare soluzioni in grado di migliorare le condizioni igieniche delle stalle, sostituendo ad esempio la lettiera permanente con il grigliato ed eliminando la paglia che riduce la produzione di protossido di azoto. Altre hanno adottato nuove pratiche più efficaci per gestire e stoccare le deiezioni.
“Ogni pratica porta vantaggi concreti e siamo riusciti a quantificarli con una certa precisione – conclude Migliorati – ma è evidente che solo l’adozione contemporanea di più pratiche riesce a far fare alle aziende un vero salto di qualità.”
In base alle stime ottenute, il progetto Life Beef Carbon dovrebbe contribuire a ridurre nelle aziende campione l’impronta di carbonio del 15% nei prossimi 10 anni; ciò significa un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica pari a 120.000 tonnellate. Alla fine i dati e le esperienze saranno a disposizione di tutti gli allevatori, e costituiranno un ottimo punto di partenza per una vera evoluzione dell’intero settore, con percorsi già tracciati e con investimenti ed esiti certi.