Il 19 luglio Ismea ha pubblicato un rapporto in cui descrive lo scenario italiano del settore apistico e mette in luce le difficoltà che hanno penalizzato la prima parte della campagna 2019. La sola produzione nazionale di miele di acacia e agrumi ha fatto registrare una contrazione del 41% rispetto alle attese. In termini economici per gli apicoltori questo calo di produttività si è tradotto in una riduzione dei ricavi pari a circa 73 milioni di euro: circa 55 milioni di euro le perdite per il miele d’acacia, prodotto soprattutto al Nord, e 18 milioni quelle relative al miele di agrumi, tipico del Mezzogiorno.
Uno scenario confermato dall’osservatorio privilegiato di Conapi, Consorzio Nazionale Apicoltori. Secondo il consorzio i soci apicoltori hanno registrato grandi difficoltà durante i raccolti primaverili con problemi soprattutto per il miele d’acacia che in media ha prodotto meno di 2 chili di miele per alveare. Conapi, in attesa di ricevere i dati sui raccolti di altre produzioni – castagno, tiglio e sulla, coriandolo e girasole – confida che i raccolti estivi diano risultati migliori e siano in grado di compensare almeno in minima parte i danni subiti.
Alcuni dati e considerazioni riportati nel rapporto Ismea.
Secondo i dati FAO, la produzione mondiale di miele nel 2018 si è attestata su 1,86 milioni di tonnellate e risulta in costante crescita, in 10 anni l’aumento è stato del 23%.
La produzione si concentra soprattutto in tre continenti: l’Asia, che da sola pesa per il 49% (con il ruolo guida della Cina), l’Europa con il 21% e le Americhe con il 18%.
I primi 6 Paesi produttori garantiscono oltre la metà della produzione mondiale, al primo posto la Cina con 543 mila tonnellate e una quota del 29% della produzione globale, seguita dalla Turchia con 114 mila tonnellate e l’11% di quota.
L’Unione Europea, secondo i dati della Commissione Agricoltura, produce circa 230 mila tonnellate di miele ed è il secondo produttore mondiale con un totale di circa 17,5 milioni di alveari e oltre 650 mila apicoltori.
Secondo i dati della Commissione Europea in ogni Paese Membro in media ciascun apicoltore europeo possiede 21 alveari. Il risultato è la media di dati molto differenti fra loro: in Grecia e Spagna ciascun apicoltore ha infatti più di 100 alveari e in Inghilterra e Germania ne ha mediamente solo 6 o 7. L’Italia e la Francia hanno una media di 27 alveari per apicoltore. La resa media di ciascun alveare mostra però sostanziali differenze: mentre in Germania ciascun alveare può rendere mediamente 35 Kg/anno, in Grecia rende in media solamente 9 Kg/anno. L’Italia in questo contesto si attesta vicina alla media europea con una resa media di 25 Kg/anno.
L’Italia è il quarto Paese dell’Unione Europea per numero di alveari (1,4 milioni), dopo Spagna (2,9 milioni di alveari), Romania e Polonia (rispettivamente 1,8 e 1,6 milioni di alveari).
La produzione italiana di miele rilevata dall’ISTAT è poco meno di 8 mila tonnellate per un valore di oltre 61 milioni di euro, ma va tenuto presente che l’ISTAT prende in considerazione l’apicoltura in occasione dei censimenti sull’agricoltura che non rilevano i numerosi apicoltori che non associano l’apicoltura ad un’attività agricola.
L’effettiva produzione italiana di miele, secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale Miele, si attesterebbe su oltre 23,3 mila tonnellate, circa tre volte quella stimata dall’ISTAT. La produzione è dovuta a oltre 1,4 milioni di alveari, di cui circa 390 mila stanziali e 556 mila nomadi, i restanti sono invece alveari per produzione hobbistica e autoconsumo.
La produzione è diffusa in tutte le regioni del Paese, ma secondo i dati 2018 le regioni più produttive sono il Piemonte, con oltre 5 mila tonnellate, la Toscana con oltre 3 mila tonnellate e l’Emilia Romagna con oltre 2 mila tonnellate.
L’introduzione della Banca Dati Apistica, alla quale tutti gli apicoltori devono essere obbligatoriamente registrati, ha consentito di avere dati più puntuali: al 1 giugno 2019 gli apicoltori in Italia risultavano 51.578, di questi circa 33.800 producono per autoconsumo (65%) e 17.767 producono per il mercato (35%).
Cambiamenti climatici e altre minacce
In Italia sono state soprattutto le condizioni meteorologiche, con eventi estremi e frequenti in alcune zone, a penalizzare l’apicoltura. In diverse situazioni si è trattato di un vero e proprio azzeramento del raccolto di miele.
Per eventi estremi si intendono periodi di siccità, prolungate precipitazioni che danneggiano o annullano le fioriture, basse temperature e vento, due fattori che impediscono alle api di uscire dall’alveare per bottinare.
Le temperature invernali al di sopra della media hanno portato a un buon sviluppo delle famiglie, che alla fine della stagione si presentavano ben popolate, ma con poche scorte a causa della scarsa importazione nettarifera dovuta al clima siccitoso e ventoso di fine inverno. Ma l’abbassamento delle temperature e il maltempo in primavera hanno penalizzato la produzione di miele e hanno provocato frequenti episodi di sciamatura.
In particolare, il maltempo registrato nel mese di maggio oltre ad azzerare la produzione di miele ha causato problemi alle famiglie che in questo periodo dovrebbero essere nel picco produttivo. Inoltre, le api, consumate le loro scorte, hanno costretto gli apicoltori ad intervenire con costose nutrizioni zuccherine per salvare le famiglie dalla morte per fame.
A complicare ulteriormente il lavoro dell’apicoltore, in molte zone si è verificata una fortissima febbre sciamatoria con sciamature ripetute e numericamente consistenti.
Le avverse condizioni meteorologiche hanno portato anche a un’irregolare attività di deposizione delle regine con conseguenze per lo sviluppo delle famiglie e la loro salute.
Ma secondo il rapporto Ismea nel corso di questa prima parte dell’anno si sono verificati anche episodi gravi di spopolamento delle famiglie a causa di avvelenamenti da fitofarmaci, sia al Nord sia, in forma ancor più grave, al Sud, e si è assistito a una presenza sopra la media di varroa e di gruccioni, uccelli che si nutrono di api e in particolare di api regine e che ora in certe zone rappresentano una vera e propria emergenza.