Dig Inn ha aperto il suo primo ristorante a New York nel 2011, è stata fondata da Adam Eskin, e oggi ha 26 locali, il suo responsabile degli acquisti è una donna, Taylor Lanzet. La filosofia di questo brand è evitare i prodotti industriali e recuperare le materie prime dalle aziende agricole e dai produttori locali. Taylor le conosce una per una. Ed è proprio dal confronto tra agricoltori, produttori e chef che nascono tutti i piatti, rigorosamente in linea con i ritmi e le produzioni stagionali.
Dig Inn ha scelto di lavorare con una rete di imprenditori che operano in modo sostenibile e assicura la provenienza certa di tutti gli ingredienti dei suoi piatti. Ha anche creato una propria azienda agricola di 12 acri chiamata Dig Farm, a Chester, New York, dove coltiva direttamente verdure e ortaggi, riscoprendo specie dimenticate. Con questi prodotti continua a testare nuove ricette, l’innovazione culinaria è all’insegna della biodiversità e della lotta agli sprechi alimentari.
Qui nel 2017, secondo i dati riportati dal loro sito, sono state raccolte 31 colture diverse e oltre 21.000 libbre di prodotti che sono stati serviti nei ristoranti entro 48 ore dalla raccolta. L’apertura di quest’azienda, secondo i responsabili di Dig Inn, ha anche contribuito a comprendere maggiormente le esigenze degli agricoltori, a impostare diversamente il rapporto con loro e a creare nuove sinergie, anche da un punto di vista puramente pratico. In caso di necessità ci si presta attrezzature o ci si aiuta nelle attività lavorative.
Con i fornitori, Dig Inn instaura un vero rapporto di partnership. I contratti riguardano forniture per periodi estesi, che garantiscono agli agricoltori una stabilità finanziaria, viene assicurato un prezzo fisso per le verdure che saranno presenti nel menu per l’intera stagione.
Dig Inn sta anche investendo per agevolare la transizione al biologico. Gli agricoltori prima di ottenere la certificazione USDA devono impegnarsi per tre anni e il processo di trasformazione è costoso. L’utilizzo di un minor numero di sostanze chimiche richiede un lavoro manuale faticoso, le coltivazioni biologiche hanno rese inferiori rispetto a quelle convenzionali, i fertilizzanti organici e gli integratori sono costosi e la rotazione delle colture fa bene alla terra, ma prevede che i campi rimangono incolti per intere stagioni. Dig Inn alle aziende che stanno facendo questo percorso paga i prodotti allo stesso prezzo di mercato dei prodotti biologici, anche se il processo di transizione è ancora in corso e la certificazione non è stata ancora ottenuta.
E poi arriviamo al tema cruciale degli sprechi alimentari. I menu di Dig Inn sfruttano al massimo i prodotti, anche quelli che per semplici ragioni estetiche finirebbero in discarica. Le verdure brutte comunque sono buone, saporite e salutari e con loro si possono creare ricette eccezionali. Gli chef lavorano con queste verdure per creare piatti originali e utilizzano anche le scorze grattugiate delle arance per creare vinaigrette.
Alla fine di ogni giornata, i ristoranti donano il cibo avanzato a organizzazioni come Rescuing Leftover Cuisine e New England Centre & Home for Veterans. Anche la loro Dig Farm dona prodotti a organizzazioni benefiche come la Food Bank di New York. Sempre secondo i dati pubblicati con grande precisione nel loro sito, nel 2017, sono state donate 93.720 libbre di cibo, l’equivalente di 78.109 pasti.
Ma Dig Inn sta lavorando per raggiungere altri due obiettivi. Vuole ampliare la sua rete di partner, includendo agricoltori abitualmente emarginati, e, malgrado le verdure siano al centro delle sue preparazioni, vuole arricchire i suoi menu proponendo anche carni di animali allevati in modo sostenibile. Ma come nel caso delle verdure, brutte ma buone, Dig Inn intende valorizzare soprattutto quei tagli di carne che vengono normalmente scartati anche se sono nutrienti ed eccellenti.
Il caso di Dig Inn è esemplare. Cambiando l’ordine dei fattori il risultato può davvero cambiare. Il cibo può essere più fresco, più sano, più nutriente, e, grazie alla creatività, può raccontarci nuove storie, regalarci nuove emozioni, può non essere sprecato. Non solo, questo nuovo modo di interpretare il cibo ci ricorda un valore spesso dimenticato: il rispetto. Il rispetto per la Natura e i suoi equilibri, con i suoi tempi e i suoi frutti; il rispetto per il lavoro di tutti quelli che, con il loro impegno quotidiano, ci procurano il cibo che mangiamo. Noi consumiamo tutto in pochi minuti ma ci siamo mai chiesti quanto lavoro c’è dietro a un pomodoro o un pezzo di formaggio?
Ma perché questi esempi non ci sono anche in Italia ?
Come diceva il poeta “…domanda inutile…”