Come potrebbe e dovrebbe essere il grano di domani?

I tempi della Ricerca sono incomprensibili per i non addetti ai lavori. Intuizioni, indagini, esiti, tutto va verificato e testato meticolosamente e puntualmente prima di arrivare al verdetto finale. Quando tutto questo gran lavoro, spesso silenzioso e lontano dai riflettori, porta al risultato atteso non ci sono dubbi: la nostra vita può cambiare davvero.

“Ma il riscaldamento globale è un fenomeno irreversibile e i suoi ritmi sono veloci, se non continuiamo a investire ed accelerare sulle ricerche scientifiche corriamo il rischio di arrivare in ritardo e l’obiettivo è prioritario: riuscire a produrre cibo per tutti”.

Tutti ne parlano, ma il ricercatore Francesco Sestili fa capire con grande semplicità che la sostenibilità non è un “nice to have”, come direbbero gli inglesi, ma un’esigenza concreta e non procrastinabile. Francesco lavora presso il dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’università degli Studi della Tuscia, l’ateneo laziale che è un vero punto di riferimento per il settore agro-alimentare.

Francesco ha condotto con alcuni suoi colleghi uno studio sul frumento con l’obiettivo di aumentarne le rese. “Analizzando una serie di lavori scientifici abbiamo individuato alcune ricerche condotte in Cina in cui è stata aumentata la dimensione della cariosside del seme del riso, per renderlo di conseguenza più produttivo. Abbiamo quindi pensato di trasferire queste conoscenze sul frumento anche se lo scenario è molto più complesso. Il nostro progetto è stato approvato e finanziato dal Miur ed è stato condotto grazie alla collaborazione di altri atenei, in particolare del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Catania che ci ha supportato con tecnologie molto avanzate per la caratterizzazione dei frumenti ottenuti.”

“Semplificando – continua Francesco – abbiamo lavorato per bloccare la sintesi della proteina codificata dal gene Grain Weight 2 (GW2), la cui funzione non è ancora bene nota ma che regola negativamente la divisione cellulare all’interno del seme. In particolare, si comporta da repressore della divisione cellulare. L’effetto dell’abbattimento del GW2 è stato quello di aumentare il contenuto di amido all’interno del seme nelle diverse linee ottenute  del 10-40%, la loro larghezza del 4-13% e la loro superficie del 3-5%.”

Per arrivare a questo risultato sono state impiegate due diverse metodologie, la transgenesi, i cosiddetti OGM, e l’impiego di tecniche avanzate di breeding. “Nel primo caso – continua Francesco – abbiamo lavorato esclusivamente in laboratorio e le nostre piante sono state allevate in vasi in camere di crescita, nel secondo caso l’iter proseguirà in campo e nei prossimi giorni semineremo le nuove piante.

“Le differenze più evidenti sono due. Il primo processo è sicuramente più mirato e più veloce, consente di intervenire all’interno del seme in modo preciso e limitato, senza effetti collaterali, e gli esiti sono quasi immediati. Il breeding invece ha tempi necessariamente lunghi e gli effetti dell’intervento potenzialmente possono avere altre implicazioni su altri organi o tessuti della pianta”.

Partendo dalla premessa di Francesco sui tempi accelerati dei cambiamenti climatici sembra evidente che le nuove tecniche molecolari siano una vera autostrada per arrivare preparati alle nuove esigenze. E gran parte del mondo accademico internazionale è concorde anche se sostiene che il tema OGM andrebbe affrontato in modo adeguato e con norme chiare. Anche Francesco è d’accordo, ma alla fine precisa: “A prescindere dalla dimensione e della natura del chicco però il tema delle rese è molto più complesso e non si può prescindere dal campo, è sua la parola finale!”.

Nelle foto, Francesco Sestili con alcuni suoi colleghi.


Alessandra Apicella

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