La biodiversità è minacciata ovunque e in questo scenario gli ecosistemi di acqua dolce sono particolarmente a rischio, anche se valutare le loro condizioni è una sfida particolarmente complessa. Tutte le specie che vivono nei fiumi – pesci, batteri e molti diversi invertebrati acquatici – sono cruciali per il funzionamento di questi ecosistemi ma molte di queste specie si stanno estinguendo per le ragioni ormai ben note: omogeneizzazione dell’habitat, inquinamento da pesticidi e nutrienti, diffusione di specie non autoctone.
Un gruppo di ricerca guidato da Florian Altermatt, professore del Dipartimento di biologia evolutiva e studi ambientali dell’Università di Zurigo (UZH), con l’Istituto federale svizzero di scienze e tecnologie acquatiche (Eawag), ha messo a punto una nuova metodologia che per la prima volta combina l’uso del DNA ambientale con modelli idrologici. Questo approccio innovativo permette di effettuare analisi e previsioni accurate sullo stato della biodiversità di bacini di centinaia di chilometri quadrati.
Tutti gli organismi rilasciano costantemente il loro DNA nell’ambiente. Raccogliendo campioni d’acqua ed estraendo e sequenziando il cosiddetto DNA ambientale (eDNA), si può determinare la natura e la presenza della biodiversità più velocemente, in modo meno invasivo e più completo rispetto all’identificazione degli stessi organismi. Non solo, poiché il DNA nei fiumi può essere trasportato a valle mediante flusso di corrente per molti chilometri anche queste evidenze possono diventare una fonte preziosa di informazioni sulla presenza di organismi.
Utilizzando modelli matematici basati su principi idrologici, gli scienziati sono stati in grado di ricostruire mappe e modelli di biodiversità per l’intero bacino del Thur, un’area di 740 chilometri quadrati nella Svizzera nord-orientale, con una risoluzione delle sezioni di corrente di un chilometro. “Il nostro modello conferma l’osservazione diretta identificando la presenza locale degli insetti acquatici con un’accuratezza senza precedenti dal 57 al 100%”, afferma Luca Carraro, primo autore dello studio.
Questo approccio può essere adottato in molti altre regioni e Paesi perché il bacino del Thur rispecchia una situazione comune a molti ecosistemi fluviali dove figurano utilizzi diversi del suolo, con la presenza di foreste, campi coltivati e insediamenti urbani. Il nuovo metodo, inoltre, permette valutazioni su larga scala e ad alta risoluzione del livello di biodiversità anche in assenza di conoscenze approfondite dell’ecosistema fluviale.
Molti paesi stanno attualmente effettuando il biomonitoraggio acquatico utilizzando l’eDNA e potrebbero trarre vantaggio dal nuovo metodo. Secondo Florian Altermatt, “il trasferimento dai risultati scientifici all’applicazione è molto rapido. Ora stiamo definendo le linee guida dell’Ufficio federale dell’ambiente per utilizzare l’eDNA nel monitoraggio standard della biodiversità “. Ciò semplificherà la descrizione e il monitoraggio della biodiversità per l’intera rete di fiumi e torrenti svizzeri, per un totale di circa 65.000 chilometri.
Lo studio e la nuova metodologia sono stati illustrati in un articolo pubblicato su Nature Communications lo scorso 17 luglio.
L’immagine è dell’Università di Zurigo.