Quanta frutta e quanta verdura rimangono invendute nei supermercati? Le quantità variano dai punti vendita e il loro destino dipende anche da come il singolo centro è riuscito a organizzare la ridistribuzione alle associazioni caritative o se ha intrapreso altre iniziative, magari adottando la soluzione di qualche startup. Ma la risposta comunque rimane invariata: tanta, troppa frutta e verdura, di qualità eccellente, diventa uno scarto da smaltire. Una perdita dolorosa di cibo buono, ma anche una perdita economica, anzi un costo ulteriore per la distribuzione. Il recupero, il trasporto e lo smaltimento di quei prodotti infatti è una spesa in più.
Ma presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’Università degli Studi della Tuscia, vera eccellenza italiana in campo agroalimentare, il gruppo coordinato dal professor Marco Esti ha sviluppato l’idea di utilizzare e valorizzare proprio quegli scarti. E non è un caso se il progetto è stato disegnato proprio da una piccola squadra femminile, anche se ora tutti i test di laboratorio sono condotti da Claudio Lombardelli, un giovane dottorando.
Tra le ideatrici c’è Ilaria Benucci, che si occupa da molti anni di enzimi. “Siamo partite dalle nostre conoscenze in materia di enzimi e da una certezza: tante verdure e tanti ortaggi contengono sostanze preziose ideali come coloranti alimentari, penso ai carotenoidi rosso-arancio contenuti in pomodori e carote o alla clorofilla delle verdure a foglia. Oggi però queste sostanze vengono estratte utilizzando solventi organici ma questo processo può diventare integralmente naturale se utilizziamo proprio gli enzimi.
“Abbiamo iniziato a pensare a questo progetto circa due anni fa- ci racconta Ilaria – per sei mesi abbiamo studiato tutta la bibliografia disponibile, poi siamo entrati nella fase operativa e ci siamo messi a lavorare con il pomodoro e i suoi carotenoidi. Ottimizzato il protocollo di estrazione, abbiamo identificato le categorie di enzimi più appropriate e le loro combinazioni definendone le quantità, i rapporti, i tempi, le temperature e il pH ideali per il processo. Siamo poi passati alle cosiddette prove di stabilità. Abbiamo studiato la loro tenuta, in termini di intensità e nuance del colore rosso-arancio, anche al variare dell’esposizione a temperatura e luce.
“I risultati sono molto soddisfacenti, ora dobbiamo testare questi coloranti in diversi contesti per capire come e in che dosaggi funzionano a seconda delle tipologie di prodotti: dalle bevande ai prodotti lattiero-caseari, alle diverse creazioni della gastronomia e dell’industria dolciaria. Questo progetto potrebbe avere applicazioni e potenzialità infinite proprio perché le fonti che si possono utilizzare sono innumerevoli come pure le loro proprietà, e Unicoop Tirreno ci ha creduto e ha sostenuto il nostro lavoro.
“Quest’area di ricerca – conclude Ilaria – ha prospettive molto interessanti perché può dare soluzioni efficaci e sostenibili a tanti operatori dell’industria del Food & Beverage. Per far decollare questa nuova era dei coloranti non servono certo grandi investimenti, è vera economia circolare che riduce gli sprechi alimentari, l’eliminazione dell’impiego di solventi organici renderà i prodotti ancora più sani e naturali rispondendo alle nuove esigenze dei consumatori. Io ovviamente sono una grande sostenitrice del valore degli enzimi ma credo proprio che il futuro dell’alimentazione passerà da qui e la mia Università è già in prima linea.”
Sul progetto di Ilaria, la rivista scientifica Food and Bioproducts Processing ha recentemente pubblicato un articolo.
Salve! Ricerca interessantissima che spero possa essere promossa in prassi.
Avrei solo una domanda circa la frase “E non è un caso se il progetto è stato disegnato proprio da una piccola squadra femminile”. Perché non è un caso?
Perchè penso che le donne abbiamo più senso pratico e una diversa sensibilità che le portano a valorizzare meglio le risorse disponibili, ma forse è una mia idea. In fondo ce l’hanno insegnato le nostre nonne e le nostre mamme a preparare piatti creativi con quello che abbiamo in casa o a riutilizzare stoffe per inventarci qualcosa di nuovo o no?