Con i suoi 10 mila allevatori in Nuova Zelanda, la cooperativa Fonterra è uno dei maggiori protagonisti del settore lattiero caseario internazionale, impiega 22 mila persone ed esporta in 160 Paesi.
Sostenibilità e benessere animale sono alla base della strategia della cooperativa che proprio lo scorso 18 luglio ha dichiarato di voler anticipare il raggiungimento del suo obiettivo prioritario: ridurre al minimo l’utilizzo di carbon fossile.
Fonterra si è impegnata ufficialmente a raggiungere questi traguardi:
• ridurre le emissioni del 30% in tutte le sue attività produttive entro il 2030 e arrivare allo zero netto entro il 2050;
• diminuire il consumo di acqua del 20% nei siti di produzione entro il 2020;
• definire un piano ambientale agricolo personalizzato per ogni allevatore della cooperativa entro il 2025;
• realizzare interamente imballaggi riciclabili, riutilizzabili e compostabili al 100% entro il 2025;
• alimentare il sito produttivo di Stirling a Otago con elettricità anziché carbone.
Fonterra vuole dare un contributo importante affinché l’intera economia della Nuova Zelanda arrivi alla meta auspicata dello zero emissioni di carbonio.
Le attività produttive di Fonterra sono tuttavia già sulla buona strada. La cooperativa ha 32 siti produttivi in tutto il Paese, che impiegano ancora per il 40 per cento energia proveniente dal carbone ma il resto proviene da gas naturale, elettricità e legna.
La nuova sfida è impegnativa, lo dichiara la stessa cooperativa, soprattutto per carenze di infrastrutture in alcune zone e per ragioni di costi: il passaggio a carburanti più puliti richiederà ulteriori investimenti, sarà necessariamente graduale e dovrà conciliarsi con l’esigenza di rimanere competitivi. Per riuscire a trovare più velocemente accordi e soluzioni, Fonterra sta collaborando con la Climate Leaders Coalition e il Sustainable Business Council.
Ma nella strategia di Fonterra sostenibilità vuol dire necessariamente innovazione, sia dal punto di vista dei prodotti e delle loro proprietà nutrizionali, sia dal punto di vista dell’impiego di nuove tecnologie a supporto delle attività.
La divisione “Consumer and Foodservice” di Fonterra è costantemente impegnata a intercettare le nuove esigenze del mercato per soddisfare e anticipare le aspettative dei consumatori. Ovviamente il cuore delle investigazioni rimane la valorizzazione dei prodotti lattiero-caseari.
L’anno scorso Fonterra ha introdotto un nuovo tipo di latte chiamato Anchor Protein. La bevanda contiene 20 g di proteine per porzione e, a differenza della maggior parte delle bevande al latte aromatizzate, non contiene zuccheri aggiunti, è disponibile in tre gusti – vaniglia, cioccolato e frutti di bosco – è a base di vero latte ed è senza coloranti, aromi o conservanti artificiali.
Ma Anchor Protein è il terzo di una nuova serie di latti aromatizzati proposti da Fonterra, Primo e Mammoth, che contengono entrambi il 40% in meno di zucchero aggiunto. Una risposta alle nuove richieste dei consumatori che desiderano snack nutrienti, da consumare ovunque, con un buon contenuto di proteine.
Una curiosità: Fonterra ha anche acquisito una partecipazione nella società Motif Ingredients che utilizza le biotecnologie e i processi di fermentazione per creare nuovi alimenti derivati da diverse materie prime come piante, insetti, alghe. Questa collaborazione apre nuove prospettive anche per il settore caseario e darà l’opportunità di creare ingredienti convenienti, sostenibili e accessibili che riusciranno a soddisfare anche i palati più sofisticati.
E sul fronte delle innovazioni tecnologiche da valutare e introdurre nelle sue aziende agricole Fonterra ha fatto una scelta particolare. Come suo consulente ha deciso di avere Ian Hunter, professore di ingegneria meccanica al MIT, il fondatore di Indigo Technologies, la società d’avanguardia nel campo dell’automotive.
Hunter pensa alla fattoria come a un ecosistema chiuso in cui la produzione non deve inquinare, proteggendo ovviamente il benessere delle mucche e la qualità del loro latte.
Le ipotesi prese in esame sono varie ma prevedono l’impiego di tecnologie già esistenti a misura di azienda agricola, anche in termini di costi.
Tra le ipotesi esplorate c’è la possibilità di impiegare agrobot, piccoli sistemi automatizzati, per somministrare agli animali farmaci o altre sostanze in maniera puntuale senza l’impiego di aghi ma anche per raccogliere le deiezioni. E’ anche allo studio la messa a punto di soluzioni per generare e stoccare energia all’interno della stessa azienda agricola. Dunque biogas prodotto e impiegato direttamente in loco.
Ma Ian Hunter sta anche lavorando con il fratello Peter, direttore dell’Istituto di bioingegneria di Auckland, per comprendere meglio le implicazioni relative alla produzione di metano.
Il punto di partenza è comprendere meglio il rumine della mucca. Con Peter, Ian ha in programma di sviluppare un modello digitale del rumine. I dati provenienti dai sensori posizionati su una mucca verrebbero inseriti nel modello, permettendo di monitorare gli impatti sul rumine di vari tipi di alimentazione.
Morale, se vedremo degli agrobot pascolare con le vacche nei paddock della Nuova Zelanda non ci dovremmo stupire. Le aziende agricole stanno cambiando e devono cambiare e chi pensa ancora ai “contadini” dei quadri di Fattori non ha capito che i tempi sono cambiati e le innovazioni sono sempre più preziose per rendere più competitivo questo settore. L’allevatore continuerà ad amare e curare le sue mucche come sempre, sarà solo aiutato da qualche nuova tecnologia che gli eviterà le operazioni meno gratificanti e lo aiuterà a lavorare meglio.
…finale da incorniciare…(e distribuire alle associazioni degli agricoltori)