Non sono in molti a occuparsi del ruolo dei funghi negli ecosistemi, ma l’ecologa Kathleen Treseder dell’Università della California lo fa da tempo e recentemente ha presentato i risultati di un suo studio in consessi autorevoli e strategici.
La ricercatrice ha dimostrato che i funghi condizionano in modo importante gli ecosistemi anche perché hanno ruolo decisivo nei processi che si verificano nel suolo, ma soprattutto possono influenzare il clima e questa relazione è reciproca.
I funghi infatti contribuiscono al processo di demolizione e mineralizzazione della sostanza organica per ottenere nutrienti ed energia, trasformando sostanze chimiche complesse in elementi più semplici, come il carbonio. I funghi, secondo la ricercatrice, sono parte integrante del ciclo globale del carbonio perché possono liberare il carbonio dal materiale in decomposizione e immetterlo nell’atmosfera come anidride carbonica.
Ma i funghi non solo rilasciano carbonio. Possono anche sequestrarlo. Ad esempio, lo stress ambientale può indurre i funghi a rafforzare le loro pareti cellulari e questo si verifica utilizzando composti organici che contengono carbonio. Questi composti di carbonio possono rimanere nei suoli per anni o decenni o anche di più.
Treseder voleva analizzare le logiche secondo cui i funghi decidono se utilizzare energia e risorse limitate per decomporre il materiale o per altri processi o se invece tali risorse vengono impiegate per supportare altre attività come reagire allo stress ambientale. E queste decisioni di allocazione delle risorse diventano ancora più importanti in presenza dei cambiamenti climatici.
La domanda prioritaria era: “ climi più estremi finiranno per selezionare funghi che tollerano bene lo stress, ma che non riescono a decomporre il materiale con la stessa efficienza?” Se fosse così, ipotizzava la ricercatrice, il rilascio da parte loro di anidride carbonica potrebbe diminuire, rallentando gli effetti negativi sul clima.
Per comprendere meglio le dinamiche Treseder e il suo team hanno fatto esperimenti nelle foreste boreali dell’Alaska e nelle foreste pluviali del Costa Rica, territori ad alto rischio per i cambiamenti climatici, e hanno raccolto campioni di terreno nelle diverse aree. Hanno quindi analizzato i prodotti genici che servivano da indicatori per stabilire se i funghi stessero investendo più risorse nella decomposizione dei materiali organici o nel rafforzamento delle pareti cellulari.
I dati dimostravano che nel caso in cui lo stress da siccità aumentava, aumentava la quantità di funghi che investiva più nel rafforzamento delle pareti cellulari e meno nella decomposizione. Al contrario, in condizioni più moderate, si verificava il contrario. I funghi che decomponevano i materiali in modo più efficiente si diffondevano maggiormente.
Questi risultati suggeriscono che i funghi potrebbero immagazzinare più carbonio man mano che il clima globale diventa più estremo, mentre potrebbero rilasciare più anidride carbonica in condizioni climatiche moderate.
Treseder ha dimostrato che i funghi possono avere comportamenti diversi in risposta ai cambiamenti climatici e sostiene che i dati sui loro diversi stili di vita possono essere incorporati in modelli computazionali che possono simulare le dinamiche degli stessi ecosistemi dando un contributo decisivo.
Grazie ai modelli computazionali, secondo la ricercatrice, “potremmo essere in grado di prevedere meglio i cambiamenti nei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera e nel clima. E questo può aiutarci a stimare quanto, quando e dove i cambiamenti climatici influenzeranno le società”. Indicazioni importanti per riuscire a prevenire e intervenire in modo adeguato ed anche per sviluppare nuove varietà di colture.
Treseder sta lavorando per integrare questi risultati in modelli computazionali esistenti, come nel caso degli “Earth Systems models” che utilizza l’ Intergovernmental Panel on Climate Change per le sue previsioni ufficiali.
Il suo studio è stato finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e dalla National Science Foundation ed è stato presentato all’International Annual Meeting del 2019 dell’American Society of Agronomy, Crop Science Society of America e Soil Science Society of America.