Capita che bottiglie di birra e lattine esplodano creando pericoli o panico tra i consumatori ma capita anche che la bevanda risulti alterata nel gusto e nel contenuto. I responsabili sono alcuni lieviti contaminanti chiamati “diastatici”, che trasformano l’amido in zucchero, che viene poi fermentato in alcool e anidride carbonica.
La presenza di questi lieviti diastatici crea danni ai produttori, soprattutto a quelli di piccole dimensioni, e il fenomeno è in aumento.
Gli scienziati del centro di Ricerca finlandese VTT hanno sviluppato un test genetico in grado di rilevare i ceppi che generano questi lieviti.
Sia il lievito di birra normale sia il lievito diastatico appartengono alla specie Saccharomyces cerevisiae e presentano caratteristiche analoghe, ma il lievito diastatico porta un gene aggiuntivo, STA1, che lo caratterizza e può essere utilizzato per l’identificazione.
Tradizionalmente per individuare la presenza del gene STA1 viene effettuato un test, ma non tutti i ceppi con il gene sono problematici. Questo vuol dire che i birrifici possono ottenere un risultato positivo dal test nonostante il lievito presenti pochi rischi e quindi potrebbero scartare inutilmente birra di qualità. Questo test dà esiti approssimativi e imprecisi, per arrivare a comprendere realmente la situazione si dovrebbe effettuare anche un test microbiologico, in cui il lievito viene coltivato su speciali piastre di agar, un processo che richiede diversi giorni.
I ricercatori del centro VTT hanno scoperto perché alcuni ceppi con il gene sono attivi, e quindi problematici, mentre altri non lo sono, e hanno identificato la sequenza genetica che ne determina le caratteristiche e i comportamenti.
Il nuovo test genetico può essere utilizzato esattamente come il test che viene usato in modo standard nel settore ma è in grado di identificare i ceppi problematici con il gene STA1 attivo rispetto a quelli che presentano la forma inattiva del gene.
Questo nuovo traguardo scientifico offre ai birrifici una soluzione efficace perché assicura un controllo certo della qualità e i risultati possono essere raggiunti in ore anziché settimane, evitando che lotti di birra vengano inutilmente richiamati dai negozi o scartati, con danni economici e anche in termini di immagine per l’azienda.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati nel Journal of Applied Microbiology and Biotechnology il 26 luglio 2019.