Piante più resistenti: un algoritmo potrebbe aiutarci?

Siccità, temperature variabili, inondazioni e incendi. Chi si occupa di clima, di agricoltura e di sistemi alimentari è sempre più preoccupato per gli stress che il riscaldamento globale induce nelle piante e per le relative ricadute sui raccolti.

In un ambizioso progetto interdisciplinare finanziato dall’Abdul Latif Jameel Water and Food Systems Lab (J-WAFS), due ricercatori del MIT David Des Marais, associate professor of electrical engineering and computer science, e Caroline Uhler, associate professor of electrical engineering and computer science, stanno provando a capire come i geni delle piante comunicano tra loro in condizioni di stress. Il background di Des Marais è in biologia e quello di Uhler in statistica.

I due ricercatori sono al lavoro per capire se esiste un modo per impedire ad alcuni geni di spegnersi completamente in situazioni critiche, un obiettivo che può essere raggiunto solo se vengono comprese con precisione le dinamiche con cui le reti di regolazione genica rispondono a diversi fattori scatenanti ambientali.

Le risposte delle piante allo stress ambientale dipendono proprio da queste reti, GRN (gene regulatory networks), che guidano lo sviluppo e i comportamenti degli esseri viventi. Una GRN può essere composta da migliaia di geni e proteine che comunicano tra loro. Le GRN aiutano una particolare cellula, tessuto o organismo a rispondere ai cambiamenti ambientali segnalando a determinati geni di attivare o disattivare la loro espressione.

Un fattore ambientale, come la mancanza di acqua durante una fase cruciale dello sviluppo delle piante, può attivare o disattivare un gene ed è probabile che influisca su molti altri nella GRN. Ad esempio, senza acqua, un gene che consente la fotosintesi potrebbe spegnersi. Questo può creare un effetto domino, in cui i geni che si basano su quelli che regolano la fotosintesi vengono messi a tacere, di conseguenza, quando la fotosintesi viene interrotta, la pianta può subire effetti collaterali dannosi, può ad esempio non essere più in grado di riprodursi o difendersi dagli agenti patogeni. La reazione a catena potrebbe persino uccidere una pianta prima che abbia la possibilità di essere rianimata da una grande pioggia.

Il loro lavoro inizia in un seminterrato senza finestre nel campus del MIT, dove 300 piante di Brachypodium distachyon geneticamente identiche crescono in grandi camere a temperatura controllata. La pianta, che contiene più di 30.000 geni, è un buon modello per studiare importanti colture di cereali come grano, orzo, mais e miglio. Per tre settimane, tutte le piante ricevono la stessa temperatura, umidità, luce e acqua. Quindi, a metà di loro viene lentamente ridotta l’acqua, simulando condizioni simili alla siccità. Dopo sei giorni di siccità forzata, le piante danno chiari segnali di sofferenza.  

Des Marais prende i tessuti da 50 piante idratate e da 50 piante secche, le congela in azoto liquido per arrestare immediatamente l’attività metabolica, le riduce in una polvere sottile e separa chimicamente il materiale genetico. I geni di tutti i 100 campioni vengono quindi sequenziati in un laboratorio vicino.

L’esito è una lunga lista che elenca i 30.000 geni trovati in ciascuna delle 100 piante nel momento in cui sono state congelate e le quantità. L’enorme materiale viene elaborato da uno specifico programma sviluppato dalla ricercatrice e nel giro di poche ore, il gruppo può vedere quali geni erano più attivi in una condizione rispetto a un’altra, come comunicavano i geni e quali stavano causando cambiamenti in altri.

“Una GRN può essere vista come una grande rete causale e comprendere gli effetti che il silenziamento di un gene ha su tutti gli altri geni richiede la comprensione delle relazioni causali tra i geni“, ha affermato Uhler. “Questi sono esattamente i tipi di algoritmi sviluppati dal mio gruppo”.

La metodologia cattura importanti dettagli che potrebbero consentire ai ricercatori di alterare eventualmente i percorsi genetici e creare colture più resistenti. “Quando esponi una pianta allo stress della siccità, non è che ci sia una risposta canonica“, afferma Des Marais. “Succedono molte cose diverse e imprevedibili, qualcosa continua a funzionare, qualcosa si arresta, qualcosa rallenta, qualcosa che non era attivo improvvisamente riprende vita”.

Il valore di questo progetto è sintetizzato dalle parole di Greg Sixt, responsabile della ricerca di J-WAFS per i sistemi climatici e alimentari: “Le sfide dei sistemi alimentari non possono essere affrontate coinvolgendo singole discipline o aree tematiche, serve un approccio sistemica che rifletta la natura interconnessa dello stesso sistema alimentare”.

Le immagini sono di Gretchen Ertl.

Analisi di laboratorio al MIT.

Alessandra Apicella

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