Il benessere degli animali è un tema sempre più sentito dai consumatori, anche se spesso l’idea idilliaca degli animali liberi nei prati è fuorviante ed errata. Mancanza di cibo e acqua, avversità meteorologiche, condizioni igieniche precarie e rischi di malattie sono minacce per la loro salute e la loro vita. L’altra faccia della medaglia ovviamente è rappresentata dagli allevamenti intensivi, fenomeno raccapricciante sia per ragioni etiche sia per i risultati negativi che produce. Il benessere degli animali è il prerequisito per un cibo di qualità, un cibo che nutre davvero e che assume un ruolo decisivo per lo stesso benessere dell’uomo.
Quando poi si parla di carne il tema diventa ancora più scottante, anche perché è correlato al fenomeno dell’antibiotico resistenza.
In Italia tuttavia leggere e interpretare il tema del benessere animale risulta particolarmente complesso perché l’identità e le dimensioni delle imprese che operano nell’allevamento sono quanto mai eterogenee e spesso i modelli di allevamento adottati sono molto differenti. Per questo, come in tanti altri campi dell’agroalimentare, se le imprese agissero in una logica di filiera ci sarebbero molte più certezze: in termini di disciplinari, parametri di valutazione, metodologie impiegate e risultati. Il consumatore avrebbe finalmente molte delle risposte che cerca.
E questa è stata la scelta di Inalca.
Inalca è la società del Gruppo Cremonini leader in Europa nella produzione di carni bovine e di prodotti trasformati a base di carne, salumi e snack, che commercializza con i marchi Inalca, Montana, Manzotin, Italia Alimentari, CorteBuona e Ibis. Un dato per tutti: con oltre 120.000 tonnellate di hamburger l’anno Inalca è il maggiore produttore di hambuger in Europa.
Lo scorso 29 marzo la società ha presentato il nuovo protocollo sul benessere animale che indica nuovi standard da applicare nei propri allevamenti e da estendere gradualmente anche ai 15.000 allevamenti italiani che riforniscono l’azienda. Grazie poi agli accordi di filiera avviati con Coldiretti, il protocollo dovrebbe avere implicazioni in tutto il settore delle carni bovine in Italia.
L’iniziativa è frutto di un progetto biennale promosso dalla Regione Lombardia e cofinanziato per circa un terzo da Inalca nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, in collaborazione con l’Università di Milano – Dipartimenti di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare (VESPA) e di Medicina Veterinaria (DiMeVet) – e la Fondazione Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di Reggio Emilia.
Per la messa a punto del progetto sono state coinvolte direttamente due aziende agricole lombarde, Agricola Marchesina e Agricola Martinelli.
Grazie al nuovo protocollo, il benessere animale diventerà misurabile in termini concreti, saranno raccolti e condivisi i dati utili per la gestione sostenibile di un allevamento e saranno comunicate e promosse le best practices. Il protocollo diventerà un vero strumento prezioso per pianificare investimenti e creare valore riconosciuto dal mercato.
Le linee guida del protocollo riguardano tutti i fattori che influenzano il benessere dei bovini: la corretta gestione dello spazio per ogni animale, il microclima, l’organizzazione delle mandrie, le pratiche di biosicurezza, la nutrizione, l’utilizzo della paglia per la lettiera…
E sul tema dell’impiego degli antibiotici già a inizio marzo, anticipando l’introduzione del nuovo protocollo, Inalca aveva espresso la sua posizione sottolineando l’importanza di utilizzarli in modo prudente, solo se necessario.
Inalca aveva dichiarato che negli ultimi due anni gli allevamenti della sua filiera hanno ridotto l’uso degli antibiotici del 18% e che già nel corso del prossimo anno ci sarebbe stata un’ulteriore riduzione del 10% . Un traguardo che verrà perseguito tramite l’applicazione stessa del protocollo e ulteriori azioni a difesa della salute degli animali, prima fra tutte la profilassi vaccinale.
L’Italia ha adottato un Piano nazionale di contrasto dell’antibiotico resistenza, che punta ad abbattere del 30% l’uso globale di antibiotici entro il 2020. Nel caso degli animali da produzione l’uso degli antibiotici è strettamente limitato alla cura delle patologie ed è obbligatorio un periodo di sospensione prima della macellazione, in modo che non restino residui nelle carni che mangiamo. I controlli su questo aspetto sono massicci: solo nel 2017 il Ministero della Salute, tramite gli istituti zooprofilattici regionali, ha effettuato oltre 44mila controlli, la cui positività è risultata pari solo allo 0,09 % di tutti campioni analizzati.