Ci sono periodi in cui certe parole – e certi temi – diventano ricorrenti e pervasivi, e oggi continuiamo a leggere e sentir parlare del microbiota e del suo ruolo: per l’essere umano, le piante, l’acqua, il suolo… Il termine microbiota, di fatto però ha la presunzione di identificare qualcosa che per sua natura è molto complesso, dinamico e per molti aspetti ancora misterioso. La sua connotazione, tuttavia, è sempre positiva: il microbiota è associato a valori di equilibrio e benessere.
Il microbiota è un vero e proprio universo. Sono batteri, archeobatteri, funghi, protozoi, un’enorme quantità di microrganismi diversi che interagiscono in modo differente, tra loro, con ogni specie e con ogni habitat. Le variabili sono infinite. Un universo che i ricercatori stanno esplorando da tempo e che Sara Borin conosce molto bene perché da anni analizza l’identità e i comportamenti di questi microrganismi in ambiti e contesti diversi. Sara è professore del Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente dell’Università Statale di Milano e si occupa di microbiologie e biotecnologie microbiche in campo agrario e ambientale.
“Oggi la sostenibilità e l’economia circolare sono due obiettivi fondamentali per salvaguardare la vita del nostro pianeta e di tutti quelli che lo abitano, noi umani compresi. Lo sfruttamento della risorsa microbica, intrinsecamente rinnovabile, può costituire dunque uno strumento con grandi potenzialità per ripristinare equilibri e mantenere integrità, salute e produttività di interi ecosistemi. In questo periodo, in particolare, stiamo conducendo molti studi sulla rizosfera, quella porzione di suolo che circonda le radici delle piante, dove uno stretto rapporto, quasi un dialogo, tra la pianta ed i microrganismi stimola l’arricchimento di microrganismi in grado di promuovere la crescita vegetale . Parliamo, infatti, di biofertilizzanti, biostimolanti, prodotti per la bioprotezione in grado di allontanare e combattere i patogeni che sono una minaccia continua, e in perenne evoluzione, per la salute delle piante e per l’agricoltura.
Sara ha collaborato a molti progetti internazionali eterogenei. Ha partecipato, ad esempio, al progetto “Madforwater” finanziato dall’Unione Europea. Qui l’obiettivo era riuscire a migliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua in agricoltura, in particolare in alcuni Paesi africani – Marocco, Egitto, Tunisia – sfruttando colture microbiche per proteggere le piante dallo stress idrico e sviluppando efficaci biotecnologie per la depurazione delle acque reflue al fine di utilizzarle per l’irrigazione e preservare l’acqua di falda, risorsa limitata in questi Paesi. Ha anche lavorato con team internazionali per valutare i possibili impieghi delle biotecnologie negli ecosistemi marini, anche quelli estremi. È stata consulente scientifico di Ersaf (Ente Regionale per i servizi all’Agricoltura e alle Foreste) in un progetto quanto mai impegnativo quale la messa in sicurezza e la bonifica biologica delle aree contaminate del tristemente famoso sito Caffaro nel bresciano. “Il piano prevede la messa a dimora di piante specifiche e l’adozione di pratiche agronomiche mirate al biorisanamento del sito dai Policlorobifenili (PBC), composti chimici particolarmente pericolosi per la salute e il cui processo di eliminazione è particolarmente complesso e lento.
“Per tornare alle piante – continua Sara – oggi in alcuni vigneti dell’Oltrepò pavese stiamo saggiando l’efficacia di alcuni ceppi batterici che abbiamo isolato e caratterizzato, che potrebbero essere in grado di mitigare nelle piante lo stress dato da condizioni climatiche siccitose, preservandone lo stato di salute e la produttività. Abbiamo osservato che alcuni di loro mostrano un effetto benefico in particolare quando le piante crescono in condizioni di stress. La selezione dei microrganismi e la valutazione dei loro effetti richiedono tempo e investimenti e solo impegnative sperimentazioni in campo, condotte per diverse stagioni produttive, daranno il verdetto finale.
“L’obiettivo poi è che l’utilizzo delle biotecnologie diventi una pratica sostenibile da tutti i punti di vista: dobbiamo arrivare a produrre soluzioni davvero efficienti a costi accessibili. Per arrivare nel mercato ed affermarsi un biofertilizzante deve garantire un’efficacia analoga o migliore rispetto a quelli ottenuti con un fertilizzante chimico e deve riuscire ad avere un costo analogo. Ma una cosa è certa: le potenzialità dei microrganismi sono infinite e sono sicuramente la strada più sostenibile per ristabilire equilibri e ridare vigore e produttività a ecosistemi debilitati o pesantemente compromessi. Il tema è sempre più d’attualità perché c’è sempre più consapevolezza: è l’unica strada percorribile per accelerare in modo importante sul fronte della sostenibilità e di una vera economia circolare.”