Siero del latte: croce o delizia? Lo chiediamo a Katia

I formaggi italiani sono rinomati a livello mondiale per la loro qualità e la loro varietà. Sono il risultato di un territorio particolarmente variegato, in cui ogni regione, e quasi ogni paese, ha la sua cultura, le sue tradizioni, le sue materie prime, le sue lavorazioni, i suoi segreti. Ma sono in pochi a sapere che quelle eccellenze corrispondono anche a un volume enorme di siero: in media si tratta di circa 7/8 milioni di tonnellate annue.

Il siero è uno dei tanti celebrati sottoprodotti dell’industria alimentare, ma nel nostro Paese, soprattutto per tante piccole e medie aziende, che non hanno gli impianti e il know-how necessari, è solo uno scarto da smaltire.

Il siero è un sottoprodotto prezioso, ricco di proprietà nutritive e nutraceutiche, soprattutto per la presenza di proteine, lattosio e peptidi. È anche una fonte estremamente versatile – afferma Katia – che, opportunamente lavorata, può essere impiegata per la creazione di integratori, prodotti farmaceutici e cosmetici, bioplastiche.”

Katia Liburdi è una ricercatrice del Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia che lavora proprio nel campo lattiero-caseario. Lei si è sempre occupata soprattutto di enzimi alimentari, ha iniziato dopo la laurea e gli esordi l’hanno vista impegnata nel settore delle biotecnologie. Da anni Katia dedica i suoi studi e le sue ricerche proprio al mondo del latte e dei suoi derivati.

“Abbiamo iniziato ad occuparci in maniera approfondita del siero perché proprio alcune imprese ci hanno chiesto di studiarne bene le proprietà, anche in funzione delle diverse tipologie di latte, e ci hanno invitato a creare possibili percorsi per valorizzarlo. Oggi, in particolare, stiamo collaborando con un produttore che realizza i suoi formaggi con coagulanti vegetali, ha in mente di creare nuove bevande partendo proprio dalla lavorazione del siero. L’obiettivo è produrre un prodotto salutare, perfetto per gli sportivi, ricco di proteine e povero di grassi, aromatizzato al sapore di frutta.”

La moda di queste nuove bibite/alimenti è già molto diffusa all’estero, cosa frena lo sviluppo di questo nuovo mercato in Italia?

“Nel nostro Paese al momento le imprese che valorizzano le componenti funzionali dei prodotti sono ancora poche e forse, nel caso dei cosiddetti beveroni salutari, l’abitudine a consumarli non è ancora così diffusa, se non in certi ambienti sportivi. È comunque prevedibile che questa tendenza si affermerà anche da noi, la vita frenetica e l’interesse crescente per un’alimentazione consapevole, sana e salutare porterà tanti protagonisti dell’industria ad offrire questo nuovo tipo di proposte alimentari funzionali e pratiche.

Quali sono allora gli ostacoli per arrivare a sfruttare davvero la risorsa “siero”?

“La produzione di ricotta è sicuramente la scelta più diffusa ma, partendo dal dato di fatto che il siero è facilmente deperibile, purtroppo per molti la soluzione più veloce e più conveniente è smaltirlo negli appositi impianti di depurazione.

“La sua valorizzazione invece punta soprattutto al recupero della scotta, il siero non rappreso che rimane dopo la lavorazione del formaggio e della ricotta. Questo materiale ha una componente di peptidi di alto valore aggiunto perché particolarmente solubili e digeribili.

“Per recuperarli sono necessari i cosiddetti processi di membrana, che producono concentrati proteici, e biotecnologie, che sono in grado di modificarne le proprietà organolettiche e funzionali e permettono di sviluppare nutraceutici innovativi. Va detto però che oggi spesso la parola biotecnologie ha un’aurea negativa, incute timori ed evoca gli OGM. In realtà questa è davvero una delle tante fake news che circolano: le biotecnologie sono tecnologie molto preziose, non sempre complesse e molto utili per migliorare e rendere più nutrienti certe sostanze partendo proprio dalle cellule e dagli enzimi.  

“Aggiungo anche che oggi è sempre più sentita l’esigenza di offrire prodotti lattiero caseari privi di lattosio ed è proprio grazie ad opportuni trattamenti biotecnologici che il lattosio può essere scisso nei due zuccheri semplici (monosaccaridi), chiamati rispettivamente glucosio e galattosio, entrambi metabolizzabili dall’organismo ed utili per la produzione di alimenti destinati ai soggetti intolleranti al lattosio.

“La Ricerca – continua Katia – sta continuando a studiare nuovi percorsi, nuove soluzioni e nuovi processi per arrivare a produrre alimenti migliori. E la collaborazione con la realtà produttiva ed industriale consente, soprattutto ai ricercatori che lavorano nell’ambito della ricerca applicata, di sviluppare in maniera efficace tematiche sperimentali che rispondono, anche in tempi brevi, ad esigenze di innovazione di processo e di prodotto. Temi cruciali per le aziende che vogliono rimanere competitive e che vogliono rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. Con molte di loro, infatti,  abbiamo ottenuto ottimi risultati proprio condividendo impegni, tappe e obiettivi. E per tornare al siero del latte direi che sono sempre più numerosi quelli che oggi stanno ripensando al valore di questa risorsa perché è un vero serbatoio di ricchezza, è ampiamente disponibile e offre davvero una grande varietà di opportunità. Tutte da cogliere ovviamente.”

Nella foto, Katia Liburdi circondata dal suo staff del laboratorio di biotecnologie alimentari ed enologiche dell’Università degli Studi della Tuscia.

Alessandra Apicella

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