Il 13 dicembre, la FAO e l’Università di Wageningen hanno annunciato di aver siglato un nuovo accordo per intensificare ed ampliare il raggio d’azione della loro collaborazione. Obiettivo: individuare percorsi innovativi e sostenibili per migliorare la vita salvaguardando le risorse naturali. In particolare, lo sforzo sarà rivolto alle tematiche relative all’economia agroalimentare per riuscire a garantire una produzione sostenibile, mitigando gli impatti del riscaldamento globale e salvaguardando la biodiversità e l’ambiente.
In questo contesto, prioritarie saranno le ricerche sulle zoonosi e sulla loro prevenzione, diventate particolarmente cruciali con l’attuale pandemia, e un’attenzione particolare sarà dedicata soprattutto all’acquacoltura considerata una soluzione decisiva per produrre più cibo in modo sicuro e per garantire prosperità economica anche a molti Paesi in difficoltà, come quelli africani.
A questo proposito, lo scorso ottobre sono stati presentati i risultati di un grande progetto quadriennale dedicato all’acquacoltura, il Mediterranean Aquaculture Integrated Development (MedAID) nato proprio con l’obiettivo di dare impulso al futuro di questo settore. Coordinato dall’Istituto Agronomico Mediterraneo di Saragozza (IAMZ-CIHEAM) e dall’Istituto di ricerca e tecnologia agroalimentare (IRTA) e finanziato dal programma Horizon2020 dell’Unione Europea, il progetto ha visto la partecipazione di 34 enti di ricerca, aziende e organizzazioni internazionali, tra cui la stessa FAO.
Il punto di partenza era chiaro: il mercato ittico del Mediterraneo è caratterizzato da una forte domanda dovuta all’aumento del consumo e da stock ittici limitati e spesso sovra sfruttati, l’acquacoltura si presenta come una soluzione per riequilibrare l’offerta e la domanda e garantire una fonte sostenibile di proteine di qualità ma in Europa il settore non è decollato ed è condizionato da molti fattori.
Da un lato, l’acquacoltura soffre di impedimenti tecnici, tra cui bassi rendimenti biologici e carenze nella gestione sanitaria degli allevamenti ittici; dall’altro, il fatto che è una pratica non ancora ampiamente accettato. Uno scenario complicato anche dalle diversità delle norme giuridiche e di governance in tutto il bacino del Mediterraneo.
Il progetto ha indagato in modo esteso sugli ostacoli produttivi, ambientali, economici e sociali lungo la catena del valore dell’acquacoltura e si è concentrato sulle due specie più prodotte, spigole e orate, le due specie più prodotte.
Una delle grandi sfide, secondo questo studio, è ottimizzare la gestione delle risorse al fine di ridurre i costi e, parallelamente, mitigare il carico ambientale della sua attività. “MedAID ha esaminato come l’industria deve adeguarsi per migliorare la propria impronta di carbonio, soprattutto in termini di logistica e consumo di mangimi”, ha commentato la ricercatrice dell’IRTA Dolors Furones. Infatti, i miglioramenti zootecnici nel ciclo di alimentazione e allevamento del branzino e dell’orata sono stati al centro di un grande sforzo di ricerca. Sono state testate diverse condizioni di allevamento delle larve e sono state adottate diete più sostenibili e funzionali che migliorano le prestazioni e rendono i pesci più resistenti alle sfide patologiche e ambientali.
Inoltre, è stato affrontato il tema del miglioramento genetico. MedAID, insieme al progetto Performfish, ha sviluppato un chip per l’analisi genomica dell’orata e del branzino (MedFish SNP). Questa tecnologia può essere utilizzata per caratterizzare geneticamente le popolazioni allevate e selvatiche e si rivela uno strumento di informazione molto utile per stabilire programmi di gestione dell’allevamento. Ha anche permesso di studiare l’ereditarietà di alcuni tratti legati alla qualità del pesce, come la proporzione di lipidi nei muscoli.
La salute degli animali è l’altra grande variabile biologica nella produttività degli allevamenti ittici. L’acquacoltura tende a spostarsi verso sistemi più intensivi, il che significa che gli animali sono più suscettibili alle malattie infettive. MedAID ha quindi effettuato una valutazione del rischio dei più importanti patogeni del Mediterraneo, tra cui NNV (nervous necrosis virus), per il quale è stato testato un nuovo vaccino con risultati molto incoraggianti. Questi studi hanno anche consentito di raggiungere risultati importanti per una gestione più coordinata delle conoscenze e delle strategie epidemiologiche e per una valutazione più sistematica delle misure di biosicurezza.
Ma la ricercatrice Furones ha anche sottolineato altri ostacoli: “L’acquacoltura ha problemi al di là del campo tecnico. Non si tratta solo di migliorare o peggiorare la crescita del pesce, ma anche della percezione del prodotto stesso e della sua produzione”. Per questo nell’ambito del progetto sono state redatte linee guida per contrastare la disinformazione e sensibilizzare i consumatori sugli allevamenti, rafforzando il dialogo del settore con il pubblico.
Per modernizzare e razionalizzare la piscicoltura nel Mediterraneo, è stato creato anche il MedAID DashBoard: grazie alla raccolta di una grande quantità di dati e a un software è possibile confrontare tecnicamente le prestazioni delle aziende e identificare gli indicatori chiave che facilitano l’adozione delle soluzioni più efficaci.
L’immagine è dell’IRTA.
argomento in effetti molto interessante soprattutto in chiave di sostenibilità degli allevamenti in grado di produrre alimenti proteici.
a questo proposito vedi anche questo articolo pubblicato su “il fatto quotidiano online” https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/14/in-ue-i-20-maggiori-marchi-di-carne-e-latticini-inquinano-come-la-meta-dei-colossi-oilgas-e-non-sono-obbligati-a-dichiarare-quanto-emettono/6425980/