Il sale è una minaccia per la nostra salute ma lo è anche per quella del suolo. Il sale si insinua ovunque e non è sempre una presenza intercettabile. E anche questo vale sia nel caso degli alimenti che siamo soliti consumare sia per l’ambiente.
Un recente studio segnalato dalla Crop Science Society of America vuole far riflettere sul valore di questa variabile che condiziona la salute del suolo e suggerisce agli agricoltori di controllare i propri terreni esattamente come ogni individuo dovrebbe fare con la propria alimentazione.
Lo studio è stato condotto dal team di Meredith Steele, Assistant Professor di Urban Ecosystems e Watershed Biogeochemistry presso Virginia Tech. La ricerca ha documentato che c’è un aumento significativo della salinità nei sistemi di acqua dolce, compresa l’acqua utilizzata per l’irrigazione, e che questo provoca un accumulo di sale nel terreno, che danneggia i microbi e le piante.
Steele voleva comprendere se anche piccole quantità di sale potessero cambiare la chimica o la biologia dei suoli.
Per determinare la natura e l’entità del fenomeno il suo team ha iniziato ad analizzare un suolo che non era stato intaccato dalla presenza del sale e lo ha confrontato con terreni irrigati con acque che contenevano lievi concentrazioni di sale. Le concentrazioni erano quelle normalmente presenti in natura come pure i tipi di sale: cloruro di sodio (sale da cucina), cloruro di potassio e cloruro di calcio.
L’esperimento prevedeva concentrazioni di sale 700 volte inferiori a quelle dell’acqua di mare e ha fatto comprendere cosa potrebbe succedere se i suoli venissero allagati da un ruscello vicino o se gli agricoltori irrigassero i campi usando quell’acqua. L’esperimento è stato condotto per 90 giorni.
Per valutarne gli effetti i ricercatori hanno misurato la respirazione del suolo, vale a dire la quantità di anidride carbonica rilasciata dal suolo. In questo caso, l’anidride carbonica proveniva dai microbi nel terreno, che, essendo organismi viventi proprio come noi, espirano anidride carbonica.
Steele e colleghi hanno scoperto che i terreni irrigati con acqua salata rilasciano più anidride carbonica. Ma il cloruro di calcio ha un effetto minore sulle emissioni di anidride carbonica rispetto al cloruro di sodio e al cloruro di potassio. Il piccolo aumento di potassio e sodio ha comportato un aumento del 20%, mentre il la presenza di cloruro di calcio ha determinato solo un aumento del 9%.
Morale? Secondo lo studio, gli agricoltori dovrebbero monitorare la presenza del sale nelle acque alluvionali, nell’acqua di irrigazione e persino nei fertilizzanti e, dal momento che le emissioni di anidride carbonica contribuiscono al riscaldamento globale, la relazione tra suolo e acqua salata va considerata in maniera opportuna perché diventa un fattore cruciale anche per i cambiamenti climatici.
Steele ha presentato questi risultati all’International Annual Meeting del 2019 di ASA, CSSA e SSSA a San Antonio, in Texas. Questa ricerca è stata supportata dal progetto Hatch dell’USDA n. 160060.