Un elevato numero di gameti maschili sembrerebbe un prerequisito importante per produrre più prole, tuttavia, molte specie domestiche ne hanno un numero ridotto. Anzi, in teoria, potrebbe essere addirittura vantaggioso ridurre il costo di produzione di gameti maschili, come nel caso in cui il tasso di autofecondazione o di “inbreeding” (consanguineità) è elevato e sono necessari meno gameti maschili per una riproduzione di successo.
“Finora ci sono state poche prove a supporto di questa idea, perché la produzione di gameti maschili è un tratto complesso interessato da molti geni con piccoli effetti e le sue basi molecolari sono rimaste sconosciute“, ha afferma Kentaro Shimizu, professore di biologia evoluzionistica e studi ambientali presso l’Università di Zurigo (UZH), che su questo tema ha condotto un nuovo studio in collaborazione con un team internazionale.
Per la loro indagine i ricercatori hanno utilizzato la pianta modello Arabidopsis thaliana che è principalmente autoimpollinante e ha un numero ridotto di granuli di polline rispetto ai suoi parenti allo stato naturale. È stata contata la quantità di polline di 144 piante con un background genetico distinto e sono state rilevate variazioni importanti, da 2.000 a 8.000 granuli di polline per fiore. I ricercatori hanno quindi analizzato e confrontato tutte le informazioni genetiche di queste varianti, cercando le differenze tra le piante con un numero di pollini più alto e più basso.
Questa analisi computazionale, il cosiddetto studio di associazione genome – wide, un’indagine di tutti o quasi tutti i geni, ha individuato un gene che influenza la quantità di polline prodotta da ciascuna pianta, che è stato chiamato gene REDLED POLLEN NUMBER1 (RDP1).
Utilizzando la nuova tecnologia di modifica del genoma CRISPR-Cas9, i ricercatori hanno creato diverse varianti mutanti del gene RDP1 in una serie di piante, sia con una quantità elevata di polline elevato sia con una quantità ridotta. Hanno poi incrociato le piante mutate e hanno contato il polline prodotto dalla prole ibrida.
Questi esperimenti hanno confermato l’effetto sottile ma significativo del gene RDP1 e un confronto con altri organismi ha rivelato che il gene contiene un fattore che promuove la costruzione di ribosomi, responsabili della sintesi proteica.
I ricercatori hanno anche ha esaminato se la riduzione della quantità di polline era effetto di una selezione attiva o casuale e hanno usato un metodo statistico per ottenere informazioni sull’evoluzione del gene RDP1 all’interno di piante modello con diversa produzione di polline. I risultati hanno mostrato che il tratto per ridurre il numero di polline è l’effetto di una vera selezione attiva.
Il team ha anche studiato l’evoluzione delle numerose regioni genomiche associate alla quantità del polline e la selezione sulla quantità di pollini è risultata molto forte, un importante passo avanti rispetto agli studi precedenti di oltre 100 tratti come la resistenza alle malattie e le risposte ambientali e anche una conferma dell’importanza della quantità del polline per il successo riproduttivo.
“Le prove supportano la previsione teorica secondo cui ridurre gli investimenti nei gameti maschili è vantaggioso, un risultato importante non solo per la biologia evolutiva, ma anche per il breeding e l’addomesticamento in generale delle piante”, ha spiegato Shimizu. “Molte piante coltivate hanno una quantità ridotta di polline dovuta proprio all’addomesticamento. Ridurre i costi di produzione del polline, da parte delle piante, può aumentare la loro resa. D’altra parte, un numero troppo ridotto di granuli di pollini potrebbe costituire un ostacolo al breeding e alla produzione di sementi. Il nostro studio apre la strada al cosiddetto breeding molecolare per individuare la quantità ottimale di polline”.
L’immagine è dell’Università di Zurigo.