La notizia è stata data da RetailWatch: a Torino, nella sede dell’ipermercato di Auchan, è stata creata una serra di 30 metri quadri con 800 piantine che i consumatori possono acquistare. Sono insalate, erbe aromatiche e micro-ortaggi coltivati con la coltura idroponica. Le piante sono vive, non recise, arrivano dall’azienda agricola Agricooltur di Carignano e sono dunque a km0. Chi le acquista recupera direttamente le piante, le porta a casa, le mette in un apposito bicchiere biodegradabile e quando decide di consumarle ovviamente ne gode tutta la freschezza perché è come se fossero state appena raccolte.
Al momento sono disponibili lattughe, cinque tipi di insalate, erbe aromatiche e micro-ortaggi – ravanelli, cavoli verdi, cavoli rossi, lenticchie, crescione, rucola, piselli – ma presto saranno disponibili altre specie.
Nel caso dei micro-ortaggi si tratta di vegetazioni ancora giovani e in via di sviluppo, come se fossero germogli, che di fatto sono un vero concentrato di sapore e di proprietà nutrizionali paragonabili a integratori naturali.
Queste piante sono coltivate e tenute in un ambiente protetto che non richiede diserbanti e fitofarmaci perché lontano da insetti e altre minacce.
La coltivazione idroponica è una delle frontiere dell’agricoltura sostenibile. Rispetto alle tecniche di coltivazione tradizionale, questo tipo di coltura può essere effettuata ovunque, anche in ambienti poco ospitali e in condizioni non adatte alla nascita e alla crescita dei vegetali. La quantità di acqua necessaria rispetto alle colture tradizionali è molto inferiore, si calcola che il rapporto sia di 1 a 10. Non solo, nella coltivazione idroponica l’uso di fertilizzanti è molto ridotto e mirato perché non c’è dispersione nel terreno e i diserbanti non sono necessari, mentre gli antiparassitari vengono usati in piccole quantità. Inoltre, per chi desidera coltivare all’insegna del biologico, è possibile impiegare speciali fertilizzanti che permettono una coltura idroponica bio.
La serra nell’ipermercato Auchan dunque è isola molto innovativa perché offre prodotti ancora “vivi”, non recisi, naturali e coltivati a km0 e sensibilizza i consumatori sulle tecniche di coltivazione e sui temi della sostenibilità.
Anche se personalmente sono del tutto favorevole alle colture idroponiche, bisogna precisare che ancora ad oggi non esiste una coltura idroponica definibile a pieno titolo “biologica”.
Questo perché, nonostante le molte discussioni in corso, ad oggi l’ortodossia del biologico non ha ancora accettato nel proprio alveo la tecnica idroponica in quanto ideologicamente “non naturale”.
Le cause vanno ricercate non solo nella logica, ideologica appunto ma se vogliamo da diversi punti di vista comprensibile, della naturalità di una coltura legata al rapporto con la biosfera del terreno, con l’atmosfera e con l’energia solare “naturale” (e quindi della sostanziale negazione del suo contrario), ma anche nella necessità di utilizzare “brodi di coltura” che spesso fanno comunque fatica ad essere tecnicamente utilizzati nella pratica idroponica, nonché nella necessità di utilizzare un irraggiamento artificiale.
Posso in parte capire, ma credo che nei prossimi anni l’urgenza generale ambientale, in termini di “costo generale e logistico” dell’offerta di “fresco”, in determinate zone fortemente inurbate (i cosiddetti desert food) o inospitali, collegata alle perdite per mancato utilizzo di parte delle produzioni (scarti), porterà l’idroponica in primo piano.
Credo che sia uno dei percorsi possibili e più interessanti, ma penso che ce ne siano altri, magari ancora ignorati e ancora in fase sperimentale. Penso che sarebbe interessante capire cosa stanno facendo tante università per trovare alternative sostenibili.