L’unica cosa certa è che non ci sono bacchette magiche. Ci sono però alcune strade già indicate che potrebbero portare a produrre cibo in modo più sostenibile. Ogni scelta però va valutata, analizzandone i pro e i contro, con dati alla mano. E ogni percorso deve tener conto del singolo contesto, prevede requisiti e nuove pratiche, richiede anche competenze e tecnologie adeguate.
Ne è un esempio il vertical farming, che apparentemente sembrerebbe una soluzione perfetta. Richiede meno suolo e ottimizza le fasi delle coltivazioni, ma in alcuni casi può comportare consumi di energia e produzione di C02 tali da non risultare una scelta pienamente sostenibile. I parametri dei costi di produzione risultano in ogni caso molto diversi rispetto a quelli dell’agricoltura tradizionale.
Proprio a questo riguardo la Business Unit Greenhouse Horticulture della Wageningen University & Research e la TU Delft stanno realizzando uno studio per valutare le variabili di questo tipo di produzione, tenendo conto che i consumi energetici variano a seconda delle località e dei relativi climi perché variano le temperature e le radiazioni solari.
Le due università stanno provando a dare risposte a una serie di domande. Di quanta energia ha bisogno una vertical farm? Ma se la quantità necessaria di acqua e CO2 può essere ridotta rispetto a una serra “tradizionale”, cosa comporta raffreddare e deumidificare l’ambiente? L’elevato carico termico interno e la mancanza di ventilazione naturale richiedono un raffreddamento che produce calore residuo. Questo calore residuo come potrebbe essere utilizzato nell’ambiente urbano circostante?
Questo studio sarà completato entro il 2019 e indicherà anche tutte implicazioni economiche relative dell’adozione del vertical farming.
Tra i nuovi percorsi che si stanno esplorando ci sono anche il cosiddetto urban farming, che sfrutta e valorizza spazi delle aree urbane – anche i tetti – per coltivare ortaggi o erbe aromatiche, e l’agricoltura periurbana che riqualifica zone limitrofe ai centri urbani per dar vita a piccole aziende agricole e fattorie in grado di produrre alimenti diversi.
Soprattutto l’agricoltura periurbana può tradursi in una ventata di nuova energia e di fonte di sostentamento per quartieri o territori spesso abbandonati o trascurati, con poche opportunità. Anche la FAO ne sostiene il valore e le potenzialità, sta infatti aiutando i governi nazionali e le amministrazioni regionali e comunali a ottimizzare le politiche e i servizi di supporto per migliorare i sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione.
Uno studio approfondito della Ruaf Foundation mette in luce i prerequisiti necessari per un vero decollo dell’agricoltura urbana e ne indica anche tutti i benefici e le potenzialità dal punto di vista sociale, economico e ambientale.
Di seguito alcune considerazioni interessanti.
L’agricoltura urbana può svolgere un ruolo importante nel sistema globale della gestione dell’ambiente, come nel caso dei rifiuti organici e delle acque reflue.
Può contribuire a trasformare i rifiuti organici in una risorsa produttiva. In alcune città esistono iniziative locali o comunali per raccogliere rifiuti domestici e rifiuti organici dai mercati ortofrutticoli e dalle agro-industrie per produrre compost o mangimi per animali.
Il compost di qualità consente ad un agricoltore di usare meno fertilizzanti chimici e contribuisce a ridurre la contaminazione delle falde acquifere. Può anche dar vita a un nuovo business, che crea occupazione.
Ma ci sono anche rifiuti organici che possono danneggiare l’ambiente o creare danni alla salute di uomini e animali. Per questo servono strutture specifiche e indicazioni precise che ne regolino la gestione.
Gli agricoltori per irrigare i loro campi possono utilizzare le acque reflue, che spesso contengono sostanze nutritive utili, anche se spesso non in quantità adeguata alle esigenze dei terreni e delle colture.
Ma anche in questo caso, l’uso indiscriminato di acque reflue può essere pericoloso per l’ambiente e la salute. Servono strutture decentralizzate sui territori in grado di effettuare il trattamento delle acque reflue.
Per questo tipo di agricoltura possono risultare particolarmente interessanti anche tante nuove tecniche che riducono il fabbisogno idrico come la coltura idroponica o l’irrigazione a goccia. Serve anche lo sviluppo di nuove tecnologie, adeguate alla dimensione ridotta delle aziende e degli spazi coltivati, in grado comunque di garantire cibo di qualità e sicuro.
L’agricoltura urbana porta evidenti vantaggi dal punto di vista ecologico perché può trasformare spazi aperti abbandonati in zone verdi con impatti positivi sul microclima. Riduce le temperature urbane, cattura polvere e CO2 e la produzione di alimenti freschi in loco, vicino ai consumatori, riduce l’energia e i costi di trasporto e confezionamento dei prodotti, oltre a contribuire, com’è stato già detto, al riutilizzo produttivo dei rifiuti organici urbani e delle acque reflue.
Spazi aperti degradati e terreni liberi possono trovare una nuova identità e una nuova vita. Quando queste zone diventano verdi e produttive tornano ad essere protagoniste, meta e centro di interesse per la popolazione circostante e sede di nuove iniziative, con vantaggi per le comunità locali.
Certamente quello dell’agricoltura urbana è uno degli scenari più stimolanti e con più ampie opportunità ma la Ruaf Foundation sottolinea l’importanza di un’azione concertata perché le iniziative abbiano successo.
Si riferisce ad esempio al ruolo dei comuni, che potrebbero mettere a disposizione budget e competenze per lo sviluppo di progetti locali, o alle università, che potrebbero inserire il tema dell’agricoltura urbana nei loro programmi e intraprendere progetti di ricerca partecipata.
E la prima misura da adottare, secondo la Fondazione, è quella di creare meccanismi di cooperazione tra i dipartimenti agricolo, sanitario e ambientale/gestione dei rifiuti per valutare i rischi sanitari e ambientali associati all’agricoltura urbana e per progettare strategie efficaci.
Niente di nuovo sotto il sole: per affrontare sfide complesse servono lavoro di squadra e competenze multidisciplinari, solo così si potranno ottenere risultati significativi e best practices da condividere e replicare nei diversi territori.