Viaggi, e danni, insospettati delle microplastiche

Alcuni studi hanno già individuato la presenza di microplastiche nell’atmosfera in prossimità di alcune coste ma un team di ricercatori del Weizman Institute of Science ha scoperto l’esistenza di una grande quantità di microplastiche anche sopra la superficie di acque apparentemente incontaminate.

I ricercatori stavano viaggiando sulla goletta Tara per studiare gli effetti del riscaldamento globale sulla biodiversità marina e hanno posizionato un’apposita attrezzatura sulla parte superiore di uno degli alberi della loro imbarcazione per raccogliere campioni di areosol, evitando possibili interferenze con quelli prodotti dalla stessa imbarcazione. Una volta recuperato il materiale, tuttavia si è posto il problema di riuscire a identificare e quantificare i bit di microplastica intrappolati nell’areosol perché le particelle non erano intercettabili al microscopio. Per questo il team ha scelto di utilizzare la spettroscopia Raman, una tecnica molecolare che sfrutta le interazioni della luce con la materia per recuperare informazioni sulla struttura e le caratteristiche dei materiali.

Grazie all’impiego di questa tecnologia e alla collaborazione del dottor Iddo Pinkas del Chemical Research Support, i ricercatori hanno rilevato alti livelli di plastica comune – polistirolo, polietilene, polipropilene e altro – nei campioni. Quindi, calcolando la forma e la massa delle particelle di microplastiche, insieme alle direzioni e alle velocità medie del vento sugli oceani, il team è riuscito a dimostrare che queste microplastiche provenivano molto probabilmente dai sacchetti e da altri rifiuti di plastica che erano stati scartati vicino alla riva e si erano spostati nell’oceano a centinaia di chilometri di distanza.

Il controllo in profondità dell’acqua di mare al di sotto dei siti campione ha mostrato lo stesso tipo di plastica dell’aerosol, dunque era evidente: le microplastiche entrano nell’atmosfera attraverso le bolle sulla superficie dell’oceano o vengono raccolte dai venti e trasportate dalle correnti d’aria verso parti remote dell’oceano.

“Una volta che le microplastiche sono nell’atmosfera si seccano e sono esposte alla luce UV e ai componenti atmosferici con cui interagiscono chimicamente”, ha affermato Miri Trainic, che lavora nel team del professor Ilan Koren, del Dipartimento di Scienze della Terra e del Pianeta dell’Istituto. “Ciò significa che è probabile che le particelle che ricadono nell’oceano siano ancora più dannose o tossiche di prima per qualsiasi vita marina che le ingerisce”.

Secondo Assaf Vardi del Dipartimento di Scienze Vegetali e Ambientali, “alcune di queste plastiche diventano impalcature perfette per la crescita di tutti i tipi di batteri marini, quindi la plastica trasportata dall’aria potrebbe offrire un passaggio gratuito ad alcune specie, inclusi i batteri patogeni che sono dannosi per la vita marina e per gli esseri umani.”

“La quantità reale di microplastica negli aerosol oceanici è quasi certamente maggiore di quanto hanno mostrato le nostre misurazioni, perché la nostra analisi non è stata in grado di rilevare quelle particelle di dimensioni inferiori a pochi micrometri”, ha affermato Trainic. “Ad esempio, oltre alla plastica che si scompone in pezzi ancora più piccoli, ci sono le nanoparticelle che sono contenute nei cosmetici e vengono facilmente immesse nell’oceano o che si formano attraverso la frammentazione della stessa microplastica”.

In questi casi le dimensioni hanno un ruolo decisivo. Le particelle più leggere possono rimanere sospese nell’aria per periodi più lunghi e quando atterrano sulla superficie dell’acqua, è più probabile che vengano ingerite dalle specie marine più piccole senza essere ovviamente digerite. Ognuna di queste particelle ha dunque la possibilità di danneggiare un organismo marino o di entrare nella catena alimentare e di conseguenza nel nostro corpo.

La conclusione di Koren non lascia dubbi né vie di scampo. “Come si verifica per tutti gli aerosol, le microplastiche diventano parte dei grandi cicli planetari perché interagiscono con altre parti dell’atmosfera. Poiché sono leggere e indistruttibili ci troveremo ad avere sempre più microplastiche trasportate nell’aria, proprio come sta succedendo per la plastica che sta già inquinando i nostri oceani. E tutto questo succederà anche se smetteremo di aggiungere altra plastica ai nostri corsi d’acqua”.

Lo studio “Airbone microplastics plastics detected in the remote marine atmosphere”  è stato pubblicato su Nature.

Il Prof. Ilan Koren guida il de Botton Center for Marine Science, il Sussman Family Center for the Study of Environmental Sciences e il Dr. Scholl Foundation Center for Water and Climate Research. La sua ricerca è supportata anche da Scott Eric Jordan; il progetto Yotam; l’Estate di Emile Mimran; e il Consiglio europeo della ricerca.

La ricerca del Prof. Assaf Vardi è supportata dal Willner Family Leadership Institute per il Weizmann Institute of Science; il de Botton Center for Marine Science; la Bernard and Norton Wolf Family Foundation; Claire e Marc Perlman; Scott Eric Jordan; la tenuta di Emile Mimran; e la tenuta di Bernard Berkowitz.

L’immagine è della Fondation Tara Ocean.

Alessandra Apicella

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